Sul rapimento e l'uccisione di Aldo Moro è tutto noto?
Quanto dice il titolo, sia pure in forma dubitativa, fa riferimento alle ripetute affermazioni di tutti I Brigatisti (pentiti, dissociati o irriducibili) che, in risposta a domande degli intervistatori su incongruenze e contraddizioni della verità ufficiale, ripetono come una litania che è tutto detto, tutto chiaro, tutto noto. Essi dimenticano che in realtà, con l’uscita di documenti e rivelazioni che si sono succeduti nel tempo, questo “tutto noto” ha dovuto spesso essere rivisto ed aggiornato a dispetto loro e di chi nello Stato spinse e/o spinge tutt’ora perché il coperchio della verità ufficiale rimanga sostanzialmente al suo posto.
Stando ai frammenti di verità emersi nel tempo, logicamente combinati, si può, invece, ragionevolmente ritenere che c’era chi sapeva cosa stava per succedere e anche come, grosso modo, sarebbe andata a finire. C’era chi sapeva dov’era la prigione di Aldo Moro – lui vivo. C’era chi sapeva delle varie trattative in corso e, in particolare, di quella impiantata dai Servizi che però non riguardava la persona di Moro; ciò che interessava davvero era il memoriale Moro che ancora oggi, infatti, non possediamo nella sua interezza, come non possediamo i nastri delle registrazioni degli “interrogatori”.
C’era chi sapeva che il vero obiettivo ad un certo punto era diventato recuperare il memoriale e i nastri per farli sparire e indurre i carcerieri ad uccidere Moro (Moro vivo avrebbe potuto riscrivere e riaffermare le cose già dette ai Brigatisti – ormai aveva varcato il Rubicone). C’era chi sapeva tutto questo.
Intorno a quello che resta il Mistero dei Misteri d’Italia, ruotarono una miriade di personaggi e una quantità di associazioni; fra queste ultime la P2, la 'Ndranghta , la Mafia, la Banda Della Magliana, oltre ovviamente ai Servizi segreti (nostri ed esteri); ma anche l’ONU, la Chiesa, la Croce Rossa, La Mezzaluna Rossa, Amnesty International.
I personaggi singoli sono poi così numerosi che non sono elencabili in questa sede ma vorrei solo dire ora che, se tanti di loro sono passati a miglior vita, quelli che ebbero una certa disponibilità delle carte di Moro, nella quasi totalità non morirono nel loro letto. (Mino Pecorelli in primis).
Ma prima di entrare in maniera più approfondita su questi temi mi sia consentito un aneddoto personale che comunque introduce l’argomento.
Il 16 marzo 1978 alle ore nove iniziai a sostenere l’esame finale di abilitazione alla professione di Architetto nella sede centrale della Facoltà di Architettura di Roma in via Gramsci. Ero il primo di quel giorno, sostenni il mio esame dignitosamente e quando il Presidente della commissione (Prof. Arch. Badaloni) mi fermò dicendomi che poteva bastare, facendomi capire che l’esame era stato soddisfacente, mi alzai contento e strinsi, come si usava, la mano a tutti I membri della commissione. Scesi subito per recarmi al baretto sotto la strada (saranno state ormai le 9:30-10:00) per prendere un caffè e gustare meglio la sigaretta che sentivo di meritarmi decisamente.
Entrai nel bar, dove oltre al barista c’era un solo altro avventore, chiesi il mio caffè mentre i due erano assorti a sentire un notiziario dalla radiolina posta su uno scaffale. Con la sensazione che il barista non mi avesse sentito, iniziai a ripetere la mia richiesta ma lui mi zittì al volo con un cenno della mano e iniziò meccanicamente a prepararmi il caffè con l’orecchio teso ad ascoltare il notiziario.
Fu a quel punto che ascoltai e compresi la notizia agghiacciante (almeno per me) che era in trasmissione:” …SEMBRA CHE IL PRESIDENTE DELLA DC MORO SIA STATO RAPITO….PARE VI SIANO DEI MORTI FRA I COMPONENTI DELLA SCORTA….”.
Mi accesi più di una sigaretta (a quei tempi si poteva) mentre il notiziario veniva aggiornato continuamente e convulsamente con la conferma del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione degli uomini della scorta.
Entrò , non posso dimenticarlo, un operaio con la tuta della SIP (l’attuale Telecom) che si informò, mentre vi era una pausa del notiziario, su cosa stesse succedendo e quando gli fu spiegato ebbe addirittura una reazione di giubilo, promettendo di offrire da bere a tutti se la notizia fosse risultata vera!!! (sic). Sentii come una stretta allo stomaco ma ero così sbigottito che, come gli altri due, non seppi dire nulla.
Tornai di corsa nell’ aula degli esami, richiamai l’attenzione del Presidente e gli comunicai il fatto. Ricordo ancora la sua risposta unita ad un sorriso sarcastico “ Ma chissà cosa hai capito!!! “ , sintetizzando in maniera colloquiale il concetto che chissà cosa avevano detto realmente e io poi lo avevo frainteso a quel modo. Ancora immagino che il suo retro-pensiero sia stato: ”..Ecco qua, abbiamo appena consentito di fregiarsi del titolo di Architetto ad un emerito deficiente!”.
Tuttavia un dubbio dovevo averglielo instillato (in fondo ci conoscevamo un minimo, visto che ero stato suo allievo non pessimo due anni prima) per cui dopo un paio di minuti si alzò invitando gli altri membri a continuare l’interrogazione in atto senza di lui e si allontanò. Non so dove andò a informarsi; certo all’epoca non c’erano I telefonini, non c’era internet ma mi pare di ricordare che in Facoltà ci fossero le telescriventi che battevano I comunicati ANSA e credo che andò lì. So solo che dopo pochi minuti tornò in aula , terreo in volto, ordinando di sospendere immediatamente tutto e annunciando che la Facoltà, a causa di quanto era accaduto, sarebbe stata chiusa nel giro di pochi minuti. Bene posso concludere, quindi, che egli non era fra quelli che sapevano già tutto dall’inizio. (fine della prima parte)
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