Con gli occhi chiusi, come per isolarsi dal mondo corrente e immergersi in un altro. Quello delle parole. Davide Rondoni ha ascoltato così i testi sacri della Via Crucis e i versi di Nico Mauro. Alla fine solo una domanda: che bisogno c’era di scrivere di questa strada dolorosa tanto bella quanto ardua, già affrontata da altri? La follia è la risposta più plausibile. Ma si tratta di una follia, stando alle riflessione che lo scrittore di Forlì ha voluto donare, ieri sera, a un Teatro Tartaro gremito, che aveva il grande intento di “riconoscersi”.
La poesia è proprio una forma di conoscenza e quella di Nico Mauro non rappresenta, bensì indaga, in un pellegrinaggio tormentato a “cogliere la vertigine di un dolore” di cui si riescono a seguire i passi fino all’ultimo verso.
Allora quando si dice che bisogna sentirsi morire per fare poesia, i conti tornano. E il pianto, ricollegato da don Pietro Mele al primo vagito di vita, è comunque simbolo di un tormento, di un uomo inerme davanti a un Dio che, folle anch’Egli prima di chiunque altro, non sta in Cielo, non è lontanissimo, ma sceglie di prendere le sembianze umane e di farsi crocifiggere.
La presentazione del libro “La polvere e l’acqua, parole lungo la via della croce” (ed. L’officina delle parole) di Nico Mauro ha ritagliato un angolo di insolita pace nel caos della supponenza che si cela spesso dietro tematiche che si danno per scontate, ma che rivelano continuamente dubbi e novità.
L’intreccio di diverse arti ha fatto di più voci un unico grido di desiderata speranza, grazie alle letture di Marco Graziuso, alle pirografie di Silvana Bissoli e alle opere artistiche di Francesco Faraone, ispirate dalle riflessioni di Nico Mauro. Un’esperienza apprezzata. Un’esperienza nuova vissuta anche grazie al Club Unesco ("Abbiamo scelto di celebrare così la XV giornata mondiale della poesia", Salvatore Coluccia) e all'Amministrazione Comunale ("La forza della parola ha riempito questa sala", Daniela Vantaggiato).

Clicca qui per vedere una breve sintesi video della serata