Pena di morte

Con che velocità si consumano le notizie! Non c’è tempo per pensare, del giornale si leggono di corsa i titoloni e poi si butta via. Lettori colpiti da “bulimia”, ingoiamo di tutto senza fare attenzione a cosa stiamo mangiando-leggendo. Certo le cose cambiano quando la notizia fa alzare l’indice di ascolto e in quel caso si cade nella trappola assurda del martellamento quotidiano che insiste fino alla nausea, ad esempio, sugli indumenti di Yara e sul DNA del presunto colpevole.  Di questo abuso, poi, bisognerebbe chiedere perdono in ginocchio ai genitori della povera ragazza assassinata senza pietà, e ripresentata in tv tutti i giorni senza pudore.
Invece c’è da chiedersi se qualcuno si ricordi di Joseph Wood. La notizia della sua morte è passata come una meteora e già si è spenta senza lasciare traccia. Eppure ci si dovrebbe interrogare su come sia possibile e come sia tollerabile che, nella civilissima America, un uomo condannato alla pena di morte nel lontano 1989, dopo ben 25 anni di carcere, abbia dovuto subire una tortura durata 117 minuti, diciamo due ore per rendere meglio l’idea, prima che l’iniezione letale producesse il suo effetto: la morte.
Mi chiedo  come si possa giustiziare un uomo a venticinque anni di distanza dalla condanna.
Per quanto sia stato efferato il suo delitto, in tutti gli anni di carcere scontati, convivendo col terrore che ogni giorno sarebbe potuto essere l’ultimo, quanto sarà cambiato Joseph Wood? Tanto. Sarà cambiato al punto che quella iniezione letale in realtà è stata fatta ad un’altra persona, ad un uomo che ha avuto fin troppo tempo per pentirsi, riscattarsi, trasformarsi. La civilissima America tollera ancora che in molti stati degli USA, come in Arizona, si possa condannare un uomo alla pena di morte, ma la mancanza di volontari per il gravoso incarico di boia ha reso necessario inventare modalità “asettiche” per l’eliminazione del colpevole.
E sì, perché con l’iniezione letale in realtà nessuno sa chi sia stato fisicamente a portare alla morte il condannato, infatti le iniezioni sono tre e vengono iniettate quasi contemporaneamente da tre persone diverse e solo una contiene il farmaco mortale. Ognuno degli addetti può ritenersi “innocente” perché potrebbe aver iniettato una semplice soluzione fisiologica… una strana scappatoia che comunque non trova assoluzione.
In qualunque macello si ha più pietà e si spara un colpo secco al manzo da macellare, a Joseph invece è stato riservato un trattamento particolare: 117 minuti di tortura. Nessuno aveva il coraggio di finirlo con un colpo alla nuca? Nessuno voleva sentirsi davvero boia?
Tutto questo dovrebbe far pensare che sia arrivato il momento di abolire la vergogna della pena di morte. E’ davvero così difficile per gli Stati Uniti liberarsi definitivamente da questo modo perverso di fare giustizia?
In Italia il condannato Joseph Wood, dopo venticinque anni di carcere sarebbe stato un uomo vicino alla libertà, negli Stati Uniti invece è ormai un uomo morto a causa di un distorto principio secondo cui si può fare giustizia uccidendo, senza essere considerati assassini.

Domenica, 27 Luglio, 2014 - 00:07