Padre, perdonami perché ho peccato

Padre, perdonami perché ho peccato. Guardo in volto la mia fragilità tutti i giorni, ma la accantono negli angoli del cuore in cui riesco a infilarla per affrontare la realtà petto in fuori, per non farmi sopraffare da chi alza la voce, da chi crede di potermi scavalcare facendo finta di non avermi vista. Poi la sera però si stiracchia nei ventricoli, si mette a scavare finché non esce. Sotto forma di lacrime o di pugni stretti.
Padre, perdonami perché ho peccato. So di averlo fatto, so di non avere nulla della santità come la intendi tu, di quella purezza che apre le porte del paradiso fin da qui. Vorrei dirtelo attraverso i pastori che abitano le nostre chiese e ci parlano di te, della tua misericordia. Quest'anno in particolare il tema è piuttosto caldo. Ma il freddo è nei loro occhi. Sì, proprio in quegli occhi che più di altri dovrebbero essere specchio di un altrove di perdono e amore incondizionati.
Attenzione, prima che qualcuno di loro si senta punto nell'orgoglio e per difendersi dia colpe a destra e manca, ma non a sé, ti dico io stessa che generalizzare non è mai un bene. Qualcuno che attinge umilmente alla tua fiamma viva per passare a noi quel calore buono senza "precauzioni d'uso" a cui attenersi, c'è. Il più è trovarlo.
In genere chi è così non fa molto rumore. Ti accompagna con un passo silenzioso e ti dona parole bisbigliate. Non ti giudica, ti fa sentire al tuo posto anche quando tu per prima credi essere sbagliata in tutto.
I più però danno troppe cose per scontate. Si accontentano delle presenze certe, che magari hanno nelle parrocchie solo un rifugio per la loro solitudine, e non si accorgono dei banchi vuoti. I confessionali sono impolverati. I giovani sono lontani chilometri. Sai quanti preti credono che sia per una supponenza e un orgoglio tipici della nuova generazione? E non sanno che è invece sintomo di un'insicurezza che nessuno prova ad aiutare?
Avvicinarsi al sacramento della riconciliazione vuol dire prendere coscienza della propria debolezza e assaporare quell'assoluzione che tu, Padre, ci dai prima ancora che il nostro animo pianga.
Contro l'adultera abbiamo tutti pronta una pietra da scagliare. Ma vorremmo qualcuno che ce la togliesse dalle mani, anche per non colpire noi stessi.
Ci si nasconde invece dietro la Parola non per comprendere, bensì per additare chi non si attiene a determinate interpretazioni. Non basta togliersi il colletto e indossare abiti meno formali per spingere la gente a fidarsi e affidarsi.
La paura di essere soppesati da giudizio umano è stata sostituita già da tempo da un più semplice sconforto che porta in parole povere a non confessarsi più.
Padre, perdonami perché ho peccato. Ma non so proprio a chi confidarlo. Tanti hanno bisogno di pane e di vestiti e la generosità della gente permette per fortuna alle parrocchie di andare incontro in qualche modo a questa verità spesso drammatica. Perché però non si guarda anche alla povertà spirituale? Perché non si considera pericolosa questa distanza tra i fedeli e i sacramenti? Perché i preti sono fermi lì ad aspettare e non vanno per le strade a capire perché le pecorelle hanno preferito smarrirsi piuttosto che svelare a loro la propria volubilità?

Domenica, 13 Marzo, 2016 - 00:08