Non meriti l’assoluzione

Duomo di Lecce. Una trentenne decide di aprire il suo animo a un anziano prete del luogo. Per la Pasqua vuole sentirsi a posto con la propria coscienza. Non ha gravi errori da rivelare. Ha semplicemente bisogno di una parola di conforto. Nella chiacchierata tra le pareti del confessionale, racconta che convive con il suo fidanzato.  “Non meriti l’assoluzione, puoi andare”. Il religioso è chiaro: questa giovane donna non può essere perdonata. La convivenza la rende evidentemente una peccatrice senza possibilità di redenzione.Ecco l’ennesima zappa sui piedi che la Chiesa si infligge. Da capire se consapevolmente o meno.
Il giudizio dell’uomo supera quello di Dio che il Vangelo ci racconta severo, ma più che mai misericordioso. E così innamorato della miseria umana da volerla salvare immolando suo Figlio. Proprio in questi giorni in cui la preghiera del cuore accompagna riti antichi che ripercorrono la via della Croce fino alla luce della Resurrezione, sentire di fatti simili mette con le spalle al muro. Quando si crede di aver fatto due passi in avanti, se ne fanno almeno tre indietro.
Ma l’ampiezza del discorso non si esaurisce tra il barocco leccese. Abbraccia, invade e spesso devasta sensibilità che si sentono puntare addosso il dito dall’alto di pulpiti traballanti. Pance troppo piene e spirito troppo vuoto.
Allora la sofferenza di chi vuole entrare in comunione con il Cristo e si vede negato il pane fatto carne, si tocca tragicamente con mano. La colpa è magari quella di aver sposato un uomo che ha alle spalle un divorzio. O quella di voler convivere prima di decidere per il passo importante del matrimonio.
“Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”, chiede Pietro nel cap. 18 dell’evangelista Matteo. “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette”. La risposta di Gesù non lascia spazio a grandi dubbi. Perdonare è l’atto più generoso che possiamo compiere. Se siamo troppo deboli e non riusciamo a farlo, lasciamoci guidare da quel Dio in cui diciamo di credere. È un Dio d’amore.

Venerdì, 3 Aprile, 2015 - 00:07