La 'bomba di San Domenico' e il Giardino degli aranci
La Basilica paleocristiana di Santa Sabina è la più nota delle chiese situate sul colle romano Aventino, non solo per le così antiche origini ma per il miracolo che ha continuato a racchiudere nel corso dei secoli: quello dell’arancio di San Domenico. Il miracolo che ha dato vita a uno degli indimenticabili luoghi che Roma destina a chi ha la fortuna di percorrere le sue vie: Parco Savello, più conosciuto come Giardino degli Aranci.
La basilica è dedicata ad una patrizia romana martirizzata durante le persecuzioni del II secolo, Sabina, che si convertì al cristianesimo per influenza dell’ancella Serapia: quando quest’ultima venne catturata, anche Sabina venne allo scoperto e fu decapitata intorno all’anno 120 d.C.
Fu fondata nel 425 da Pietro d’Illiria, sotto il pontificato di Celestino I ed ultimata nel 432 sotto Sisto III, sui resti di antichi luoghi di culto pagani di cui uno dedicato a Iside, alcuni tratti delle mura serviane e sui resti di un antico “Titulus Sabinae”, utilizzando le 24 colonne bianche di marmo ancirano appartenenti al "Tempio di Giunone Regina" che sorgeva nelle vicinanze.
Scavi eseguiti nella zona occupata dalla parte alta delle navate e dell’abside hanno rilevato due santuari arcaici del IV secolo a.C. Il portale centrale è un monumento di spiccata importanza in quanto conserva ancora i battenti lignei del V secolo, probabilmente in legno di cipresso o cedro decorati con formelle rappresentanti scene tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento.
L’immaginario del popolo romano fece nascere la credenza che l’antica basilica, come tutte le chiese sorte sopra i templi pagani, fosse presa di mira dai diavoli. Poco dopo l’ingresso, in un angolo a sinistra su una colonna, c’è una pietra ovale di basalto nero con tre fori, nota come “la bomba di San Domenico”.
Secondo la tradizione, la pietra fu scagliata da un Satana infuriato contro Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine domenicano, che era solito pregare sopra un sepolcro-altare che conteneva le ossa di alcuni martiri. La pietra colpì il sarcofago e ancora oggi sono visibili i fori provocati dalle dita fiammeggianti del diavolo; in realtà, la pietra è probabilmente un peso di una bilancia romana o una macina di mulino rinvenuta nei sotterranei della chiesa.
La basilica fu restaurata da papa Leone III e poi da papa Eugenio II, che la abbellì con uno splendido ciborio d'argento (scomparso durante il Sacco di Roma nel 1527) e con la "schola cantorum", ovvero il recinto ricavato nella navata centrale per accogliere i coristi durante le funzioni religiose: questi lavori furono soltanto l'inizio di una serie di rimaneggiamenti che finirono per stravolgere l'intera costruzione. A causa della posizione privilegiata che le permetteva di dominare la zona sottostante ed una parte del corso del Tevere, nel X secolo la basilica venne trasformata in un fortilizio per ordine di Alberico II. In seguito divenne residenza fortificata di alcune nobili famiglie, i Crescenzi prima ed i Savelli dopo. Proprio un membro di quest'ultima famiglia, Cencio, divenuto papa con il nome di Onorio III, nel 1219 concesse la chiesa e parte del palazzo a S.Domenico di Guzman. Fu qui che S. Domenico incontrò San Francesco e fondò nel 1220 l'Ordine dei Predicatori, meglio conosciuti come "Domenicani” ed il monumentale convento con il paradisiaco chiostro.
Qui si trova l’arancio di S.Domenico, il primo arancio, secondo la tradizione, portato a Roma dal Portogallo nel 1216 da Domenico di Guzman in persona. Questo arancio è considerato prodigioso in quanto a distanza di secoli ha continuato a dare frutti attraverso altri alberi rinati sull’originale, una volta seccato. Attraverso un foro presente nell’atrio con colonne antiche, tra reperti archeologici e iscrizioni pagane e cristiane, è visibile l’arancio rinato proprio dove fu piantato il primo albero da San Domenico.
La magia si estende nell'area dell'antico fortilizio eretto dalla famiglia dei Savelli tra il 1285 e il 1287, dove sorge l'attuale Giardino degli Aranci, realizzato nel 1932 da Raffaele de Vico, dopo che già agli inizi degli anni Venti del '900, con la nuova definizione urbanistica dell'Aventino, era stato previsto di destinare a parco pubblico l'area che i padri Domenicani della vicina chiesa tenevano a orto.
Questo terrazzo è uno dei più amati e frequentati sia dai romani che dai turisti, poiché le sue ridotte dimensioni si aprono romanticamente su una vista più unica che rara dell’intera città di Roma, che non ha nulla da invidiare ai belvedere del Pincio e del Gianicolo. All’ombra dei rigogliosi alberi, tra l’antichissima e contemporanea arichitettura, ricoperte dal profumo invadente delle castagne e frizzantino delle arance, inebriate da una musica malinconica, continuano ad avvicendarsi le storie di noi passanti al suon dei nostri passi.
(per gentile concessione di In Dialogo, mensile della Parrocchia San Sebastiano)
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