Il Piave mormorava
Domenica è il 24 maggio. La leggenda del Piave, inno ben noto ad ogni italiano perché fu per tre anni inno nazionale e perché non c’è parata militare in cui non venga eseguito, ci ricorda che proprio il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra, in quello che fu il primo conflitto mondiale. Sono passati cento anni da quella data. Tre anni dopo, il 4 novembre 1918, con l’armistizio la guerra ebbe fine, fu vinta. Ma da chi fu vinta? Nessuna guerra ha mai un vincitore. La guerra è sempre una “inutile strage” (cfr. papa Benedetto XV), è sempre una “perdita”. E noi italiani -parlano i dati- perdemmo 651.000 militari e 589.000 civili, in tutto 1.240.000 nostri connazionali. E l’Italia si tinse di sangue.
Chi vince, dunque, la guerra? Ma l’uomo non impara, non vuole imparare e così l’inutile strage fu ripetuta nel secondo conflitto mondiale.
Oggi che le dense nubi disumanizzanti della guerra si scorgono all’orizzonte, in questo contesto di “guerra mondiale a pezzi” (cfr. papa Francesco) noi, come cittadini, come cristiani, ma soprattutto come uomini, abbiamo il dovere morale di ricordare, di far memoria, per non ripetere mai più l’assurdità di considerare l’altro un nemico. La “memoria del sangue” ci sollecita ad essere umani, talmente umani da sentire compassione ogniqualvolta un essere umano in qualche angolo del mondo viene ucciso. Questa sollecitudine del ricordo spinse i nostri padri, qui a Galatina, guidati dal sindaco dott. Vito Vallone, ad erigere in piazza Alighieri il Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1928, quale “Sacrario della memoria civica”.
In questo centenario, vogliamo tornare al Monumento ai Caduti, non lasciare che l’oblio e l’incuria cancellino per sempre i nomi dei nostri concittadini, ma considerare una ad una tutte quelle 325 giovani vite umane che morirono per insegnare a noi che la via della libertà è solo la pace. Rammentiamo che ogni nome inciso è un figlio, un fratello, uno sposo, un padre, strappato alla sua famiglia, alla sua terra e mandato a morire sulle sponde del Piave, dell’Isonzo, sul Carso, a Caporetto, in territorio austro-ungarico o altrove.
Ricordando tutte le madri, le spose, le mogli, i figli che, rimasti soli, tante volte entrarono nella nostra Chiesa Madre e innalzarono al Dio della vita quel retorico interrogativo «Perché la guerra?», vogliamo anche noi entrare in Chiesa Madre e celebrare la vita, pregare per tutti i morti, ma soprattutto gridare a Dio: «Aiutaci a non ripetere mai più la guerra».
Per questo, domenica 24 maggio, insieme alla comunità della parrocchia Ss. Pietro e Paolo, celebreremo la santa Messa delle ore 11:30 in suffragio dei morti della Grande Guerra e pregheremo il Signore che ci dia sempre giorni di pace.
Con profondo senso di gratitudine, in quanto sacerdote, non posso, però, trascurare il ricordo dei quasi 20 mila preti e seminaristi mobilitati in occasione della prima guerra. Giovani sacerdoti che, allontanati dalle facoltà teologiche, furono mandati al fronte come cappellani, con il compito di assistere religiosamente i soldati, di organizzare gli ospedaletti da campo, gli ospedali di riserva, le compagnie di sanità, le case ricreative dei soldati e soprattutto con il pietoso compito di raccogliere le salme dei morti, dare loro sepoltura ed avvisare le famiglie lontane. Di questi sacerdoti 90 furono i caduti, 3 i dispersi, 3 furono insigniti della medaglia d’oro, 137 della medaglia d’argento e 240 di quella di bronzo: sacerdoti fedeli a Cristo e all’uomo, anche nel buio della guerra.
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