Neanche di fronte al dolore della morte
"La consolazione è dono di Dio e servizio agli altri: nessuno può consolare se stesso autonomamente perché altrimenti finisce per guardarsi allo specchio". Il Papa, quasi un anno fa, durante un'omelia a Santa Marta. Mi domando cosa rifletta lo specchio di chi ha strappato quel crocifisso da una tomba di famiglia nel cimitero di Galatone. Quale consolazione potrà mai trovare colui o colei che ha minato la consolazione altrui con un gesto ignobile come questo? Non ne troverà. Si affiderà alla propria meschinità per sentirsi superiore ai "poveri allocchi" che crede di aver raggirato, ignorando forse quanto questa azione sia stata giudicata da tutti disperata e non furba.
Questo non è che l'ultimo dei furti che vedono come luogo tristemente privilegiato il campo santo. Vasi, oggetti votivi di marmo e rame, fino ad arrivare addirittura ai fiori. A chi gioverebbero rose e tulipani, donati con affetto a un defunto, trasferiti in modo losco da una lapide a un'altra? Non al caro estinto, non a chi rimane. E in un attimo si polverizza ogni giustificazione.
Rubare in un cimitero denota una tale pochezza sul piano morale che diventa difficile dire altro. Profanare luoghi di culto e di preghiera, in cui il comune denominatore sono le lacrime della gente, non ammette scuse.
Quel crocifisso divelto si porta dietro, ovunque sia in questo momento, la storia di chi lo ha voluto, lo ha commissionato, lo ha fatto apporre su quella tomba mettendo in quell'immagine sacra quel desiderio bruciante di non dimenticare che solo chi ama tanto in vita vuole mantenere acceso anche quando la morte spezza i fili terreni che uniscono le persone.
Di questa storia l'autore o l'autrice del furto non conoscerà mai i dettagli e non ne sentirà di certo il peso. Ma della vergogna che dovrebbe accompagnare questa azione ci facciamo carico tutti affinché aumenti la vigilanza e si nutrano il più possibile pudore e rispetto, sempre più rari nel cuore dell'uomo di oggi.
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