"Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente". Chi minacciò Aldo Moro?
Bene questo è solo un campionario ridotto di incongruenze stranezze e contraddizioni che emergono dalla verità ufficiale. L’ affermazione dei brigatisti che “… è tutto noto e non ci sono segreti da scoprire…” iniziò , come abbiamo visto, da quel lontano comunicato n. 6 ( ne ho parlato all ‘interno del commento al comunicato n. 3) ed è proseguita stancamente e senza pudore per 35 anni nonostante tutti gli aggiustamenti che nel tempo hanno dovuto fare a seguito di scoperte di documenti, rivelazioni , confessioni. Quindi non è ancora tutto noto, anzi c’è ancora tanto da sapere.
Ma come ho detto c’era gente che invece sapeva che cosa stava succedendo prima durante e dopo il sequestro, gente a cui tutto o molto era noto in anticipo.
Il lavoro di raccolta di tutte le notizie che potevano far presagire che vi fosse l’ intenzione di eliminare Aldo Moro me lo sono risparmiato in quanto le ho trovate già collezionate sul sito http://querelles.blogspot.it/2008/03/prima-del-sequestro-moro-interrogativi.html e quindi mi limiterò a stralciarne le parti principali e cha già mi erano note da altre fonti:
9 novembre 1967. Sotto il titolo “Dovevo uccidere Moro”, la rivista “Il Nuovo mondo d’oggi” pubblica un’interessante testimonianza, quella dell’ufficiale dei reparti speciali Roberto Podestà, il quale racconta di essere stato scelto da “un ex ministro della Difesa”, tre anni prima, per guidare un commando che avrebbe dovuto uccidere la scorta di Moro, rapire il leader dc e condurlo in una località segreta. L’allora Presidente del Consiglio sarebbe stato poi ucciso, e la responsabilità dell’omicidio sarebbe stata attribuita alla sinistra. Solo molti anni dopo l’effettivo omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, si scopriranno le somiglianze tra il piano del 1964 e quello messo in atto nel 1978. Che legame esiste tra i due? Si può pensare, come afferma l’allora portavoce di Aldo Moro, Corrado Guerzoni, che il rapimento e l’omicidio del presidente della DC sia stato “appaltato” alle Brigate Rosse da elementi estranei al terrorismo? In ogni caso questa è una delle prove che Aldo Moro dava fastidio già molti anni prima del suo rapimento e che si pensava di ucciderlo almeno dal 1964, l’anno che vide il generale dei carabinieri De Lorenzo a un passo dal realizzare il suo colpo di Stato, allo scopo di far fallire l’esperienza di centro-sinistra (Piano Solo). Inoltre, l’editore de “Il Nuovo mondo d’oggi” è Mino Pecorelli, personaggio che si muove con agilità negli ambienti dei servizi segreti, dai quali riceve molte notizie confidenziali. Pecorelli sarà ucciso nel 1979, prima di poter rivelare i clamorosi retroscena sul caso Moro di cui aveva dichiarato di essere in possesso.
Prima metà degli anni 70. Il segretario di Stato americano Henry Kissinger compie un viaggio ufficiale in Italia. Durante un ricevimento a Villa Madama, a Roma, si rivolge ad Aldo Moro con queste parole: “Io non posso non occuparmi della situazione interna italiana... che nessuno potrebbe descrivere con ottimismo e che mi sembra notevolmente peggiorata dalla mia ultima visita... Sono certo che il signor Moro e gli altri ministri italiani che sono in questa magnifica sala ne sono convinti quanto me e non dubito che essi vorranno impegnarsi a fondo perché le cose migliorino... O dovrà venire il giorno in cui mi sarà necessario convocare l’ambasciatore Volpe e dirgli: ‘Caro Volpe, adesso è venuto il momento di inviare un generale al tuo posto?’. Non credo anzi sono sicuro che ciò non accadrà”.
24 settembre 1974. Il presidente della Repubblica Giovanni Leone è giunto negli Stati Uniti, dove è in visita ufficiale, accompagnato dalMinistro degli esteri Aldo Moro. Una settimana prima, Kissinger ha consigliato al presidente americano Ford di ammettere che il suo paese è intervenuto dal ’70 al ’73 in Cile per rovesciare il governo, democraticamente eletto, del socialista Salvador Allende.
25 settembre 1974. Sul “Washington Post” si delinea la richiesta che gli Stati Uniti indirizzano a Leone: l’assicurazione che le alleanze uscite dalla seconda guerra mondiale saranno mantenute e che non si favorirà l’avanzata del PCI.
25 o 26 settembre 1974. Durante la visita, Aldo Moro si sente fare questo discorso: “Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. Lo riferirà al rientro in Italia lo stesso Aldo Moro a sua moglie Eleonora, senza rivelarle il nome dell’interlocutore. A togliere ogni dubbio sull’identità della persona da cui proveniva la minaccia, sarà, nel 2007, Giovanni Galloni, uno dei massimi esponenti della DC: “Ad un certo momento della riunione Kissinger chiamò Moro e gli disse chiaramente che se continuava su quella linea ne avrebbe avuto delle conseguenze gravissime sul piano personale». Un funzionario rimasto anonimo, testimone dei colloqui tra Kissinger e Moro, confermerà che il clima nel quale si svolsero quegli incontri era tempestoso: Kissinger “considerava lo statista pugliese, come già qualcuno ha detto, un pericoloso cavallo di Troia del comunismo in Italia. [...] Chi ricorda i suoi colloqui di allora con Moro non può dimenticare facilmente gli accenni alle ‘salse cilene’ in giro per il mondo, ripetuti con una insistenza che non mancava di irritare ancora di più l’interlocutore. Era chiaro dove Kissinger volesse andare a parare: delle concezioni morotee in politica estera non dava troppa pena di occuparsi. Che Moro fosse il possibile Allende dell’Italia e in prospettiva dell’Europa, Kissinger deve averlo creduto fortemente e, a leggere bene le sue memorie, mostra di crederlo ancora” (“Degli italiani” - scrive l’ex segretario di Stato - “Moro era chiaramente il personaggio di maggior spicco. Era taciturno quanto intelligente, possedeva una formidabile reputazione intellettuale. L’unica prova concreta che ebbi di questo suo ingegno fu la complessità bizantina della sua sintassi. Ma poi gli feci un effetto soporifero, durante più della metà degli incontri che tenne con me, mi si addormentò davanti; cominciai a considerare un successo il semplice fatto di tenerlo desto. Moro si disinteressava chiaramente degli affari internazionali... stava preparando, indirettamente e quasi impercettibilmente, com’era suo solito, quei cambiamenti fondamentali che avrebbero portato il partito comunista a un passo dalle leve del potere”).
27 settembre 1974. Henry Kissinger dichiara: “Ci rimproverate per il Cile. Ci rimproverereste ancora più duramente se non facessimo nulla per impedire l’arrivo dei comunisti al potere in Italia o in altri Paesi dell’Occidente europeo”. Nella chiesa di St. Patrick Moro accusa un improvviso malore. Rientrato in Italia in gran fretta e con largo anticipo sui tempi previsti, riferisce al suo portavoce, Corrado Guerzoni, l’intenzione di ritirarsi dalla vita politica per due o tre anni. In quello stesso periodo confida a un’allieva universitaria, Maria Luisa Familiari: “Ma credi che io non sappia che posso fare la fine di Kennedy?”.
2 luglio 1975. Il piduista Mino Pecorelli fa apparire sulla rivista che dirige, Osservatorio Politico, una notizia senza nessuna importanza, titolandola tuttavia: “Il Moro... bondo”. In un’altra notizia breve, sullo stesso numero, si legge: “Per il momento tutti i commentatori politici si esercitano con l’interrogativo: è proprio il solo Moro il ministro che deve morire alle 13?”.
13 settembre 1975. Sulla rivista O.P., Pecorelli scrive: “Un funzionario al seguito di Ford, in visita a Roma, ebbe a dichiararci ‘Vedo nero. C’è una Jacqueline nel futuro della vostra penisola’”.
7 novembre 1975. Ancora sulla rivista O.P., un’altra allusione di Pecorelli al destino di Aldo Moro: “a parole Moro non muore. E se non muore Moro...”.
Marzo 1977. Salvatore Senatore, un detenuto del carcere di Macerata, accenna al possibile rapimento di Moro. Ma il Sismi (servizio segreto militare) lo avrebbe appreso, secondo i suoi responsabili, solo a sequestro avvenuto, un anno più tardi. Una banale disfunzione dei nostri apparati? O un’inefficienza voluta?
28 giugno 1977. In un discorso, Kissinger afferma che l’arrivo dei comunisti al potere anche in uno solo dei paesi dell’Europa occidentale, “avrebbe un effetto psicologico sugli altri facendo apparire i partiti comunisti rispettabili o suggerendo che il corso della storia in Europa si muove nella loro direzione”. Kissinger, opponendosi vigorosamente a un superamento degli equilibri sanciti alla fine della seconda guerra mondiale, esclude che i partiti comunisti, per quanto indipendenti dall’URSS, possano legittimamente partecipare al governo. Il riferimento all’Italia è, ancora una volta, evidente.
22 (27?) novembre 1977. Il direttore del Corriere della Sera, il piduista Franco Di Bella, si sta recando allo studio di Moro in via Savoia, a Roma. Fanno parte del corteo la sua automobile e quella della scorta, che la segue. All’inizio di via Savoia le guardie notano la presenza di un giovane su una moto. Quando la loro macchina lo oltrepassa, gli uomini della scorta vedono nel retrovisore che il ragazzo fa dei cenni ad altri due individui. Il motociclista affianca poi la macchina di Franco Di Bella. Il direttore del Corriere vede luccicare un oggetto metallico nelle mani del motociclista e le guardie del corpo capiscono che si tratta di una pistola. Un carabiniere della scorta di Moro, che si trova davanti al portone del palazzo dove ha sede lo studio del leader dc, grida: “Ferma! Ferma!”. Il motociclista riparte a tutta velocità e imbocca un senso vietato. Dal numero della targa si risale al proprietario della moto: si tratta di Umberto Liberati. Nonostante la gravità dell’episodio, le autorità non ritengono opportuno disporre un confronto e dei pedinamenti. Perché? Successivamente si sosterrà che Liberati, che aveva precedenti per furto, aveva solo tentato di fare uno scippo. Un’ipotesi del tutto illogica, vista la presenza visibile, in via Savoia, di tre macchine della polizia. Che cosa doveva fare, allora, Umberto Liberati quella mattina?
Prima settimana del dicembre 1977. Arriva una segnalazione alla questura della capitale: “Si sta preparando l’‘irlandizzazione’ di Roma”. La fonte è del tutto attendibile, quindi la questura trasmette una nota al capo della polizia il quale la passa al ministro dell’interno. Perché Francesco Cossiga non prende nessun provvedimento?
26 dicembre 1977 - 5 gennaio 1978, Roma, piazza dei Giochi Delfici, chiesa di Santa Chiara. Mauro Tomei nota “un uomo e una donna, che guardavano insistentemente l’onorevole Moro il quale era seduto con alcuni familiari su un banco del tempio”. Sono i brigatisti che preparano l’agguato? Qual è l'identità di quei due individui?
Febbraio 1978. La rivista satirica “Il Male” pubblica un servizio sulle mani dei politici italiani. “La linea del destino” - vi si dice a proposito della mano di Moro - “indica che il soggetto, dopo alterne vicende, farà una brutta fine. Notevole il reticolo sull’indice segno certo di carcerazione”. È possibile che in alcuni ambienti della sinistra extraparlamentare si abbia la sensazione, o la certezza, che Moro sarà ucciso. Il riferimento del Male alla detenzione di Moro e alla sua uccisione è solo un caso? Che le forze dell’ordine non siano poi così distratte come invece si sosterrà, è dimostrato anche dal fatto che l’articolo del Male è stato esaminato dalla polizia, e sarà consegnato alla famiglia Moro subito dopo il rapimento del loro caro.
Prima del 16 febbraio 1978. “È possibile che Moro venga rapito”: è quanto un detenuto della casa circondariale di Matera riferisce ad elementi dei servizi segreti presenti in quella città. Secondo il generale Santovito, piduista, la soffiata giungerà al Sismi solo il 16 marzo, a sequestro già avvenuto. Un mese per passare una notizia così grave da Matera a Roma?
24 febbraio 1978. Un abitante di via Savoia, a Roma, vede una grossa automobile parcheggiata vicino al portone dello studio di Moro, nella quale stazionano due persone. Una delle due, un uomo, scende, va verso il giardino sul quale si affaccia lo studio di Moro e rimane ad osservare per circa un minuto. Il testimone trascrive il numero della targa e lo passa al collaboratore di Moro, Nicola Rana, il quale a sua volta lo gira alla polizia. La proprietaria della macchina risulta essere la convivente di tale Franco Moreno. La polizia interroga quest’ultimo, che nega tutto, affermando di non sapere neanche dove si trova via Savoia. Moreno viene rilasciato e le forze dell’ordine rassicurano Rana: non c’è nessun pericolo. Come si spiega tanta leggerezza? Eppure Moreno ha dei precedenti: è stato inquisito già nel 1973 per aver pedinato una segretaria dell’ambasciata libica in Italia che lavora anche per la società Radionica, il cui titolare, un certo Schuller, è un ex nazista legato ai servizi segreti tedeschi. Dopo il sequestro del presidente democristiano, Moreno sarà nuovamente arrestato. A quel punto, dopo aver negato di nuovo, ammetterà di essere stato in via Savoia quel giorno, ma solo per accompagnare l’amico Gerardo Serafino, che doveva recarsi al vicino Ufficio di araldica. Come si scoprirà poi, Serafino non è nient’altro che il collaboratore del deputato dc Gian Aldo Arnaud, fanfaniano e piduista (tessera 1984). Gli interrogatori dureranno tre giorni, passati i quali Franco Moreno sarà rilasciato, senza aver chiarito nulla (“gli indizi che sembravano [...] gravi, si dissolsero non sappiamo come nell’esame del magistrato”. Leonardo Sciascia, Relazione di minoranza, Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro).
(fine parte 5 continua)
Sul rapimento e l'uccisione di Aldo Moro è tutto noto? (1)
Uccisione di Aldo Moro, i fatti (2)
"Moro si faceva la doccia anche quattro volte al giorno" (3)
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