L’inumanità dell’umanità
"Ho fatto questo" dice la mia memoria. "Non posso aver fatto questo" dice il mio orgoglio e resta irremovibile. Alla fine, è la memoria a cedere. Questo pensiero è attribuito al filosofo tedesco Nietzsche. L'odore acre del nichilismo si avverte in toto. E chissà di quale decadenza avrebbe parlato se avesse conosciuto gli orrori del nazismo. Si può immaginare che una giornata come quella del 27 gennaio sia stata istituita quasi in risposta a questa riflessione, per dare la possibilità di un riscatto a ciò che a volte lasciamo dormire per paura, vergogna o superficialità.
Non bastano 24 ore a farsi male nel ricordo della distruzione dell'uomo da parte dell'uomo. Non basta una settimana di manifestazioni, di film a tema, di mostre e testimonianze.
Non basta.
Ma, per quel poco che riusciamo a concedere alla memoria di agire in tutta la sua crudeltà, approfittiamo per porci degli interrogativi, guardandoci nello specchio dell'oggi.
Il tentativo di entrare nella psiche umana spetta agli esperti. Ma chiunque di noi, al di là delle proprie competenze tecniche e professionali, ha il diritto e il dovere di chiedersi chi o cosa possa spingere qualcuno a superare il limite più estremo.
Ultimamente ho avuto modo di leggere "La banalità del male" di Hannah Arendt, la giornalista del "The New Yorker" che nel 1961 a Gerusalemme seguì il processo a Otto Adolf Eichmann. Il tedesco doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, "in concorso con altri", crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l'umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista, in particolare durante la seconda guerra mondiale.
"Richiesto su ciascun punto se si considerasse colpevole, Eichmann rispose: Non colpevole nel senso dell'atto d'accusa. In quale senso allora si riteneva colpevole? […] né la difesa né l'accusa e nemmeno i giudici si presero la briga di rivolgergli quell'ovvia domanda.
[…] avrebbe ucciso anche suo padre se qualcuno glielo avesse ordinato […] poteva essere accusato soltanto di avere aiutato e favorito lo sterminio degli ebrei, sterminio che effettivamente, riconobbe a Gerusalemme, era stato uno dei più grandi crimini della storia dell'umanità.
[…] Forse egli si sarebbe riconosciuto colpevole se fosse stato accusato di concorso in omicidio? Può darsi di sì, ma sicuramente avrebbe sollevato importanti obiezioni. Le sue azioni erano criminose soltanto guardando retrospettivamente, e lui era sempre stato un cittadino ligio alla legge, perché gli ordini di Hitler […] possedevano forza di legge […]. Chi dunque gli veniva ora a dire che avrebbe dovuto comportarsi diversamente, ignorava o aveva dimenticato come stavano le cose a quell'epoca. […] Ciò che aveva fatto, lo aveva fatto e non lo negava; anzi proponeva: Impiccatemi pubblicamente come monito per tutti gli antisemiti di questa terra. Ma questo non significava che si pentisse di qualcosa: Il pentimento è roba da bambini (sic!)"
Non si considerava un uomo sordido e indegno. Era un uomo che non si sarebbe sentito la coscienza a posto se non avesse fatto ciò che gli veniva ordinato (trasportare cioè milioni di uomini, donne e bambini verso la morte) con grande zelo.
Un folle? No, uno normale. Nel senso che "non era un'eccezione tra i tedeschi della Germania nazista".
Il male che Eichmann incarna appare alla Arendt "banale" e perciò tanto più terribile perché i suoi servitori, più o meno consapevoli, non sono che piccoli burocrati. "I macellai di questo secolo non hanno la grandezza dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano".
Definire "banale" il male ha in sé quasi un controsenso. Ma, nell'assurdità di un orrore assoluto, immaginiamo centinaia di burattini, seguaci di un'idea malata, pronti a uccidere per uno strano senso del dovere. In loro il male si è "banalizzato" nel momento in cui è diventato ordine da eseguire.
Ma torna a rimpolpare le sue fauci quando non c'è pentimento a sostegno dell'errore. La storia non cambierebbe, ma forse cambierebbe l'obiettivo della memoria.
Ricordare avrebbe il senso del "non accadrà più". Nello specchio dell'oggi troppi riflessi fanno pensare a un cambio di connotati del male, ma di certo non a una sua scomparsa.
Lo sconcerto per qualcosa che è quasi incomunicabile per il suo cuore traumatico, deve essere monito "feroce" sulla possibilità dell'inumanità dell'umanità.
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