Il rifiuto dell'ultima Macara
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Le rondini garriscono nel cielo del tardo pomeriggio galatinese, le pietre che rivestono le strade del centro antico sono ancora roventi. Il calore che deriva dal basolato rende affannoso il respiro e il passo. L’eco del grido di liberazione della finta tarantata è ancora vicino, sono passate solo poche ore dalla fine della solennità del Santo guaritore. Le stradine, già colme, i giorni passati di festa, di voci, camminate, saltelli di bimbi gioiosi e piagnucolosi, oggi versano nella solitudine amara dell’abbandono.
All’improvviso, in una visione piuttosto nefasta, all’angolo della piazzetta, spunta un cumolo di rifiuti alquanto insolito. Ad attrarre l’attenzione è una scopa consumata dal tempo, annerita di fuliggine e lasciata sul muro bianco.
Da questa istantanea l’autore ha tratto un romanzo che parla di una donna votata ai sortilegi malefici, immortale e malvagia. Il suo strumento, la scopa, con il passare del tempo si deteriora e lei comprende che tutto ha una fine. Così la Macara, ripudia la continuità nel produrre malessere, negatività e sofferenza, accettando la caducità dei mortali.
Nella foto vi è l’essenza di quel rifiuto: uno stato d’animo, per quel che riguarda il romanzo, e l’aspetto dell’inciviltà che alcune persone continuano a perseguire, abbandonando rifiuti di ogni genere e danneggiando l’immagine della città.
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