Il destino dei custodi

Alle porte di un autunno che si prospetta freddo e piovoso, ricordo le parole calde e incoraggianti di Papa Francesco nel suo discorso del 19 Marzo 2013, per la solenne inaugurazione del Pontificato. “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”. Non pensiamo che questo compito sia solo nelle mani di chi ha forse il poter economico di cambiare le cose. La vera rivoluzione parte da noi piccoli umani. Dal momento in cui stringiamo la mano di nostro figlio per aiutarlo ad attraversare la strada, al momento in cui la stringiamo al nostro paziente malato, dal momento in cui a quella mano consegniamo un libro da leggere o un maglioncino da indossare o una tazzina piena di caffè caldo, al momento in cui guardiamo dritto negli occhi i nostri genitori.
Quello del custode è un compito molto delicato, arduo e di grande responsabilità.
Chi custodisce, non solo vigila su ciò e su chi gli è stato affidato ma è saldamente impegnato nella difesa e nella conservazione di un valore o di un ideale.
Noi stessi non scegliamo casualmente la persona cui consegnare i nostri sentimenti, le nostre virtù, le nostre imperfezioni e le nostre presenze e mancanze: dobbiamo essere certi che le tratterà come ciò che di più prezioso c’è sulla Terra.
Cosa succede, infatti, quando  ci accorgiamo che il nostro essere è stato maltrattato? Passa molto tempo prima di essere pronti a lasciarci salvaguardare da qualcuno e noi a tutelare chiunque altro. Ed ecco che allora il richiamo del Papa a custodire le persone, soprattutto le più fragili diventa per noi una richiesta, non solo un’esortazione. E a una chiamata così dirompente ognuno di noi, di qualsiasi religione e professione sia, può rispondere in un solo modo: con la sua vocazione. Questo impulso interiore che ci spinge a metterci al servizio è unico, ma per tutti diverso è il modo in cui lo possiamo mettere in azione.
In qualsiasi stagione sia il nostro cuore, a prescindere dalla stanchezza del nostro fisico e nonostante i cattivi sentimenti che, circondandoci, tentano di deviare le nostre strade, quella vocazione è viva e presente. “Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”
(per gentile concessione di 'in Dialogo', ottobre 2015)

Lunedì, 26 Ottobre, 2015 - 00:07