Il caso Pamba e l'informazione frettolosa
E’ inutile girarci attorno, conviene essere chiari e onesti e ammettere che nel periodo clou dell’estate i pronto soccorso, in tutta Italia, non riescono a dare una risposta in tempi accettabili ai pazienti. E in certi casi si rischia di fare la differenza tra la vita e la morte. Una mezza conferma arriva dall’inchiesta che La Repubblica ha condotto il 1° agosto scorso in 10 pronto soccorso in Italia: dappertutto attese interminabili, situazioni al limite della legalità, assalto dei codici verdi. La ministra Giulia Grillo, dopo l’inchiesta di Repubblica: «I pronto soccorso non sono ai livelli europei, li rafforzeremo con medici generici». Al Policlinico di Bari, per restare in Puglia, alle nove di sera – scrive Antonello Cassano su Repubblica - Circa 150 persone affollano la sala d'attesa e i corridoi. «Questa è stata una giornata particolare con più di 250 accessi – ha confermato il responsabile della struttura di emergenza, Vito Procacci – mancano una decina di medici e circa 20 infermieri». Non va meglio all’ospedale Santa Maria Nuova di Firenze, dove il nemico del pronto soccorso è l’alcol. «…quello di cui sono carichi i turisti e giovani fiorentini che alzano il gomito quando arriva la sera – riferisce il corrispondente Michele Bocci - Per questo le notti di medici e infermieri, ma anche di altri pazienti in attesa, possono essere rischiose». E via via, a Palermo, Napoli, Roma, Milano, Bologna, Genova, Torino…. Dappertutto ore di attesa, rabbia e caos.
C’è chi aspetta di essere visitato e chi attende un posto letto in reparto o il trasferimento in un altro ospedale che gli permetterà di lasciare la barella in corridoio.
Al “Vito Fazzi” di Lecce ha fatto molto rumore la tragica vicenda del giovane keniota Chrispinus Ouma Pamba , morto su una barella. E come spesso accade si sono create due fazioni contrapposte: quella di chi ipotizza che i sanitari del Fazzi non avrebbero fatto quanto sarebbe stato in loro potere e quella di chi sostiene che, nonostante la serie di esami eseguiti, le condizioni del giovane extracomunitario erano talmente compromesse (a rivelarlo ci sarebbero gli esami emotochimici e altre analisi) che non c’è stato nulla da fare.
Insomma, non sarebbe stata la lungaggine dell’attesa a procurare la morte del giovane, ma l’acutissima leucemia e la cirrosi di cui soffriva. Il giornalista Danilo Lupo, che ha sollevato il caso su Facebook, se la prende con i colleghi giornalisti che sono abituati a servirsi del «copia e incolla» delle veline passate dai primari e dalla Asl e rimprovera loro – se abbiamo ben capito - di non avere il coraggio di fare le domande che andrebbero fatte.
La Asl sostiene di voler tutelare la professionalità e l’immagine del pronto soccorso in tutte le sedi e nei confronti di chiunque metta in dubbio che il giovane del Kenia sia stato «trascurato».
Da parte nostra ci permettiamo di osservare che esiste il giornalismo di inchiesta, quello «barricadero» e ficcante e c’è il giornalismo di informazione, quello che sta ai fatti e li divide dalle opinioni.
Quest’ultimo, caro Danilo, non è detto che sia compiacente e complice. Anzi. Il primo, quello che tu sei abituato a praticare a livello nazionale, può andare incontro a spiacevoli «errori di valutazione o a difetti di documentazione». E non sempre il giornalista ha a disposizione il tempo e gli strumenti per verificare i fatti. Il secondo svolge sicuramente la funzione di informare e, quando è il caso di denunciare. Forse è meno rischioso, ma non si sostituisce ai medici, ai legali e agli organi inquirenti.
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