Gravity

Poco (dura solo 90 minuti) ma buono, anzi di più. Questo in sintesi il giudizio sul nuovo lavoro del filmaker messicano tuttofare (qui è regista, sceneggiatore, produttore e pure direttore del montaggio) Alfonso Cuaròn, Gravity, che ha aperto quest'anno la 70esima Mostra del Cinema di Venezia. Una storia apparentemente semplice e lineare che cela, però, tra grandiosi effetti speciali, una morale dal tratto filosofico.
Nello spazio, la dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) alla sua prima missione e l'esperto astronauta prossimo al pensionamento Matt Kowalski (George Clooney) svolgono il solito lavoro di routine, ridendo, scherzando e passeggiando sull'astronave. Ma un serie di detriti distrugge la stazione spaziale e i due, nella catastrofe, rimangono abbandonati nel grande vuoto. Con poco ossigeno a disposizione, tra mille insidie, sospesi sul nero oblio, dovranno dare tutto loro stessi per sopravvivere e tornare sulla madre Terra.
Cuaròn dirige un buon thriller fantascientifico, teso al punto giusto e con una storia e una sceneggiatura convincente, mantiene incollato lo spettatore alla poltrona, perché, cosa c'è di più angosciante e terribile di rimanere soli, in condizioni estreme, a fluttuare e a roteare in un' oscurità così grande, sempre a un passo dalla morte? Quell'abisso,
orrido, immenso che circonda i nostri eroi non può essere letto come metafora della morte, fine ultimo dell'esistenza?
La straordinaria prova degli attori individualizza una condizione universale,che prima o poi riguarda tutti gli uomini: Clooney con la sua simpatia,ne stempera bene il carattere tragico e la Bullock, inaspettatamente, dimostra
una certa bravura nell'interpretare il senso di fragilità che genera il sentirsi sospesi sull'abisso. Se la vita è come lo spazio ,allora ,come la Bullock, possiamo ,in alcuni momenti incappare nei “detriti”, che distruggono il nostro equilibrio e le nostre sicurezze. In questi momenti bui, ci chiediamo perché accada tutto questo proprio a noi, affiorano dubbi anche religiosi che minano le nostre certezze. L'importante però è nonmollare , bisogna affrontare tutte le avversità con forza, coraggio e caparbietà, l'abissonon deve tirarci giù, inghiottirci senza che noi lottiamo, rinunciando a dare il meglio di noi stessi. Solo in questo modo “l'aurora” della speranza potrà arrivare e forse potrà anche risolvere tutti i problemi. Solo al cinema, però.
Insomma
Gravity è spettacolare e impegnato allo stesso tempo: unisce la grandiosità e la sfarzosità dei grandi kolossal hollywoodiani odierni, con un 3D “ antigravitazionale ” che non si vedeva dai tempi di Avatar, alla profondità del cinema d'autore: la storia è complementare alle magie del computer, rendendo il tutto unico e originale rispetto alle altre mega produzioni tutto fumo e niente arrosto . Non perdetevelo quindi, perché vi stupirà e vi farà riflettere, e se vi è piaciuto vi consiglio anche Apollo 13 (1995) di Ron Howard che parla di un'altra disavventura, questa volta vera, nello spazio e Vita di Pi (2012) di Ang Lee per quanto riguarda questo genere “kolossal filosofico”.

 VOTO 8


Questa recensione è apparsa su "Intervallae insaniae", il giornale del Liceo Classico 'Pietro Colonna'. Ringraziamo l'autore e la direzione per averci concesso di pubblicarlo.

Lunedì, 28 Ottobre, 2013 - 00:01