"Dimmelo tu perché, Alfredino"
Questa notte ti ho pensato e questa notte ti ho scritto Alfredino. Non so per quale arcano motivo mi sei tornato in mente. Ti ho pensato per anni, spesso, ti ho pensato. Tu avevi sei anni ed io nove e avevamo la stessa canottiera a righe d’estate. Tu passeggiavi intorno a casa tua a Vermicino, io di fronte casa mia avevo un campo di timo e lì passeggiavo, ma non ci conoscevamo.
Poi, Alfredino, tu sei scivolato giù Alfredino, ed io ti ho incontrato, ho conosciuto la tua mamma che era uguale alla mia, ti cercava, Alfredino, ti chiamava sempre! Ma tu non tornavi Alfredino, e lei ti chiamava: Alfredino, Alfredino! Fu in quel momento che tu, Alfredino, mi spigasti tante cose, sotto a quegli ottanta metri di terra che ti separavano da lei, c’erano tante domande e infinite risposte delle quali non feci mai menzione a nessuno, le tenni per me, le tenni per noi sino a stanotte! Vennero tutti a chiamarti, anche il presidente Pertini che sino ad allora io e te non avevamo mai visto, se non in tv, se non nelle alte stanze; o meglio, ancora non avevamo tempo per fare caso dove fosse lui, noi dovevamo andarcene in giro con la nostra canottiera a righe.
Ti avrei salvato io Alfredino: mi sarei calato io sotto terra appeso per i piedi; ti avrei preso stretto stretto per i polsi e saremmo risaliti su insieme ed io ti avrei riportato dalla tua mamma, nel tuo letto fatto di lenzuola di cotone. E poi ti avrei raccontato quello che si provava a stare fuori, ti avrei raccontato dello sguardo dei tuoi, che era lo stesso di quello dei miei, ti avrei raccontato del mio strano senso di colpa nel saperti giù, tutto bagnato mentre io con la tua stessa canottiera a righe ero nel mio letto con le lenzuola di cotone simili alle tue. Mi hai insegnato a tendere la mano Alfredino, sei stato il primo, tutte quelle persone che hanno cercato di salvarti non ti conoscevano prima, erano tutte lì per te, e mi spiegasti con i fatti che si deve tendere la mano a tutti, indistintamente, se qualcuno ne ha bisogno. Mi spiegasti a parole tue che il nostro era un paese che nelle emergenze dava il meglio di sé. Ma io l’ho dimenticato, io la mia mano non la tendo più, io non ci riesco. Vedi Alfredino, in questi decenni le cose sono cambiate. Siamo cresciuti, io e il pensiero di te. Negli ultimi anni migliaia di bambini con la nostra stessa canottiera a righe sono arrivati in Italia, da paesi che alla nostra età di allora non sapevamo neanche dove fossero, e uno di questi bambini è diventato poi mio fratello. Migliaia, con le loro mamme, anche loro cercano di venire fuori con lo stesso tuo coraggio da un buco nero di disperazione, ma io a loro non riesco a tendere più la mano, come avrei voluto fare con te, o ancora, non riesco a farlo con la stessa facilità. Dimmelo tu perché Alfredino, dimmelo tu. Migliaia di anime vagano in mare come fantasmi in cerca di una luce, identica a quella che cercavi tu mentre chiamavi mamma! Ne sono arrivati tanti, e per anni ci siamo spesi per loro con lo stesso amore con cui abbiamo cercato di aiutare te.
Adesso c’è chi questi bambini con le loro famiglie non li vuole aiutare o, meglio, vuole farlo in maniera differente, e sai cosa penso Alfredino? che chi ha preso questa decisione a modo suo abbia ragione. E allora mi faccio paura, e cerco te e la tua mano tesa verso la mia ma non la trovo. Quando è accaduto a te avevamo la sensazione di essere tutti uniti, solidali in un unico corale sforzo. Oggi siamo soli, ci hanno lasciati soli per anni a salvare anime pure come la tua. E siamo stanchi, ci guardano come in milioni guardavano te in televisione dal divano di casa, ma nessuno ci aiuta. La colpa è mia Alfredino, ho smesso di pensarti, però anche tu potevi tornarmi in mente un po’ più spesso!
Me la dai una risposta Alfredino? Come facevi tu a vedere la luce? Tendimi la mano e continua a regalarmi la memoria di quel campo di timo Alfredino, e forse riuscirò stringerla nella mia e ti salverò, e mi salverai.
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