Che mondo sarebbe senza "Reality"?
Lo sguardo di Luciano è bruciato. Dalle luci, da cui vorrebbe essere avvolto; dalla povertà, prima sfrattata dalla bancarella del pesce, poi accolta in maniera quasi ossessiva; dalla vita, difficile nella sua messa in scena, così diversa da quella rappresentata in tv. Matteo Garrone ha disegnato su Aniello Arena, detenuto-attore, un personaggio incredibile eppure vero. Volto smunto, corporatura possente, Luciano è il protagonista di una commedia a tratti surreale, a tratti tragica, in cui le sfumature tra il mondo sacro della famiglia e del lavoro e il mondo televisivo, tutto lustrini e futilità, si perdono, non si distinguono più. "Reality" è un film in cui si ha spontanea la sensazione di stare alla finestra di una delle case popolari di Napoli a "godersi" dialoghi e gesti di uomini e donne eccessivi in tutto; ma è un eccesso reale, che fa parte del loro essere obesi, sguaiati, trasandati. E' un eccesso che però diventa parente della follia quando l'illusione di poterlo cambiare si abbina alla necessità di oltrepassare la famosa "porta rossa" della casa del Grande Fratello, simbolo di un successo facile e frivolo.
Così anche la normalità viene filtrata da un cervello malato di desiderio di notorietà. Un grillo entrato in stanza diventa un avvenimento strano. Forse un modo che "quelli della televisione" hanno per controllare la gente di cui sono interessati.
Allora il passo per gli applausi gratuiti sembra proprio vicino. Vicino al baratro.
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