Benedetto XVI, il moro, la conchiglia e l'orso. Una domenica senza Papa
E’ la prima domenica di marzo, è la prima domenica durante la quale, a Roma, la finestra da cui si affaccia il Papa per l’Angelus resterà chiusa. Il Papa non c’è. La bellissima e commovente giornata del 28 febbraio, che dell’anno 2013 rimarrà come la data di un fatto storico eccezionale, ha visto tutto il mondo partecipare all’ultimo atto di un papato scandito dalle campane che suonavano a festa. Nessun funerale, questa volta, ma il saluto più umano e toccante che un grande della Chiesa ha voluto e saputo regalare a tutti noi. Più che negli otto anni di papato, dall’11 di febbraio fino al 28, Benedetto XVI è riuscito a farci capire fino in fondo quanto grande sia il suo amore per la Chiesa. Affacciandosi alla finestra del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, ha definito se stesso non più Papa ma “pellegrino” in questo ultimo tratto di vita terrena in cui si dedicherà allo studio, alla meditazione ed alla preghiera.
E a ben vedere nel suo stemma, accanto al moro coronato (presente da oltre mille anni nello stemma di tutti i vescovi di Frisinga da cui proviene Ratzinger), c’è proprio la conchiglia, simbolo universale del pellegrino. La conchiglia è stata scelta da Benedetto XVI per sottolineare la condizione di ogni uomo, pellegrino in cammino senza una stabile dimora, ed anche perché proprio la conchiglia riporta il suo pensiero (secondo quanto racconta nella autobiografia “La mia vita” edita da 'San Paolo') a ciò che si narra di Sant’Agostino che, mentre si tormentava intorno al mistero della Trinità, avrebbe visto un bambino sulla spiaggia che cercava di portare, servendosi di una conchiglia, l’acqua del mare in una piccola buca. Qualcuno gli fece capire che così come quella buca non avrebbe mai potuto contenere l’acqua del mare, allo stesso modo egli non sarebbe riuscito a comprendere il mistero della Trinità. Quindi Papa Benedetto pellegrino ed umile studioso dinanzi alla grandezza di Dio.
Ma non basta. Per capire ancora meglio il pensiero di Benedetto XVI bisogna soffermarsi anche sul terzo elemento dello stemma che lo contraddistingue: l’orso. Perché quell’orso accanto al moro e alla conchiglia? Questa immagine scaturisce dalla leggenda di Corbiniano, fondatore della diocesi di Frisinga, in cui si narra che, mentre il santo era in viaggio verso Roma, un orso sbranò il suo cavallo. Corbiniano costrinse l’orso a portare tutto il carico che prima gravava sul dorso del cavallo, e solo giunti a Roma fu liberato dal santo e tornò libero. L’orso quindi nello stemma del Papa ha rappresentato quello che sant’Agostino diceva di se stesso, commentando il salmo 72/73 nei versetti 22/23, e cioè “Un animale da tiro sono davanti a te, per te, e proprio così sono vicino a te”.
Anche Benedetto XVI quindi ha raffigurato se stesso come l’orso di Corbiniano, costretto dalla sua fedeltà alla Chiesa e dal suo amore per Cristo a portare un peso gravoso fino a fargli ripetere come sant’Agostino: “Sono divenuto la tua bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te”. E’ arrivato il momento di cedere ad un altro prescelto il carico non più sostenibile dalle spalle di questo grande Papa, che passerà alla storia come il più umile e fedele operaio nella vigna del Signore.
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