ABC del 5G e metodo scientifico

Angelo Coluccia, ingegnere galatinese, è professore associato di Telecomunicazioni presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, Università del Salento

È doveroso porsi delle domande sul progresso e sulla tecnologia, in particolare (ma non solo) riguardo a possibili effetti sulla salute; il caso del momento riguarda l’aggiornamento dei sistemi cellulari al nuovo standard “5G”. L’obiettivo di questa evoluzione[2] non è solo aumentare la capacità di trasferire grandi quantità di dati in poco tempo, bensì consentire applicazioni non realizzabili con i sistemi attuali, ad esempio perché richiedono in aggiunta basse latenze e grande affidabilità (come ad esempio la sicurezza stradale o scenari di emergenza). Non è possibile descrivere qui tutti gli aspetti e le novità del 5G, che riguardano non solo i dispositivi e le antenne ma anche l’infrastruttura di rete, le tipologie dei dati e dei protocolli, l’architettura software e la sua sicurezza, e altro; sono cambiamenti che richiederanno ancora molto tempo per attuarsi, perché in questa complessità si può procedere solo a piccoli passi progressivi, ma potrebbe essere utile vedere alcuni aspetti fondamentali.

Si immagini di voler illuminare una piazza. Lo si può fare con un unico faro sufficientemente potente, oppure con tanti lampioni a bassa potenza distribuiti uniformemente. La seconda opzione crea meno zone d’ombra e richiede minore potenza perché un’onda elettromagnetica (anche la luce lo è) si attenua con la distanza in modo più che proporzionale: se la distanza raddoppia, la potenza non diventa la metà bensì al più un quarto[3], e in un tipico ambiente urbano si riduce a un decimo; se si raddoppia ancora la distanza, diventa un centesimo. Il 5G prevede di utilizzare per certi casi d’uso la strategia a piccole celle[4], con più antenne a bassa potenza (devono infatti coprire un’area piccola); ciò migliora la connessione verso dispositivi fissi o a mobilità lenta, mentre strategie diverse sono necessarie in altri casi[5]. Non è una novità in assoluto: la compresenza di celle di dimensioni eterogenee è stata progressivamente implementata già a partire dal 3G (20 anni fa).

Il 5G prevede di utilizzare varie bande di frequenze, incluse le cosiddette “onde millimetriche” (mmWave) fino ad alcune decine di GHz. Non si tratta di frequenze mai studiate[6] e nemmeno finora inutilizzate: sono in uso da molti anni in ponti radio, trasmissioni satellitari, radar (anche quelli usati nelle auto per l’adaptive cruise control e la frenata di emergenza), e dispositivi biomedicali. Un vantaggio di tali frequenze, che hanno lunghezza d’onda di alcuni millimetri (da cui il nome), è la possibilità di focalizzare la trasmissione verso il ricevitore, una tecnica chiamata beamforming: si può pensare per analogia al cono proiettato da una sorgente luminosa, che è più o meno concentrato a seconda della tipologia (si stringe passando ad esempio da una lampadina a bulbo ad una torcia). Nei sistemi attuali per comunicare da un punto ad un altro si “spreca” invece parte del segnale anche in direzioni inutili. In sostanza il beamforming mmWave consente di trasmettere solo dove serve, e di codificare forme d’onda che interferiscono poco con altri dispositivi, stanti speciali proprietà fisico-matematiche dei sistemi cosiddetti “MIMO” sfruttate in algoritmi di ricezione avanzati.

Nel valutare i possibili rischi legati al 5G, si può fare l’errore di pensare che un esperimento eseguito in laboratorio, con un’antenna puntata a distanza ravvicinata su un animale o un tessuto biologico, con potenze e forme d’onda arbitrarie, possa essere indicativo di cosa succede in un sistema di telecomunicazioni[7]. È ben noto che i campi elettromagnetici possano indurre effetti, in particolare termici, sui sistemi biologici: questo principio è stato infatti ingegnerizzato nel noto elettrodomestico chiamato forno a microonde, che adopera la stessa frequenza (2.4 GHz) del Wi-Fi, del Bluetooth, e di molte altre tecnologie in uso da anni. Ma affinché un campo a tale frequenza possa scaldare un cibo bisogna far sì che le onde si “amplifichino” in una scatola metallica, trasmettendo potenze fino ad un milione di volte superiori a quelle di un dispositivo wireless, e a corta distanza[8]. Oppure aumentare la frequenza di molti ordini di grandezza: servono almeno 100.000 GHz per arrivare all’infrarosso (IR), che a bassissime potenze è il principio alla base delle telecamere termiche (anche quelle semplici di sorveglianza notturna), mentre ad elevate potenze ha effetti di riscaldamento importanti: ce ne accorgiamo esponendoci troppo a lungo alla luce solare nelle ore in cui i raggi arrivano sulla Terra alla massima potenza, col rischio concreto di scottarci[9].

La legge italiana, per precauzione, impone limiti all’esposizione ai campi elettromagnetici (sia in bassa che alta frequenza) che sono 10 volte inferiori rispetto a quelli di altri Paesi, ritenuti già sicuri. Questi valori sono stabiliti da organizzazioni internazionali no-profit tramite linee guide (ad esempio le ICNIRP, ref. nota6, che coprono anche le frequenze del 5G) che identificano i livelli per i quali non sono stati evidenziati rischi per la salute, sulla base dell’analisi sistematica degli studi scientifici (ref. nota8). Bisogna ovviamente monitorare sempre affinché l’effetto cumulativo delle emissioni di tutti i sistemi wireless alle diverse frequenze (ripetitori TV, stazioni radiofoniche, radiomobili, ecc.) non superi i limiti di legge, esattamente come si fa per le emissioni di inquinanti nell’atmosfera. A questo compito sono preposti organismi di controllo diversi, tra cui l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA), che effettuano le loro valutazioni anche in funzione dei tempi di permanenza attesi nei diversi luoghi, quindi tenendo in conto possibili effetti da esposizione prolungata. I cittadini possono essi stessi verificare il rispetto dei limiti, tramite tecnici specializzati dotati di strumenti di misura adeguati. I limiti di legge devono essere rispettati indipendentemente dal numero delle sorgenti elettromagnetiche: l’installazione di nuovi impianti deve dunque assicurare che la somma delle emissioni già presenti più quelle aggiuntive continui a non eccedere i livelli precauzionali fissati. Nuovi metodi sono allo studio per rendere il monitoraggio elettromagnetico capillare e continuativo[10], magari in un approccio integrato alle varie tipologie di impatto ambientale da monitorare (in particolare emissioni atmosferiche, inquinamento acustico, sversamento di rifiuti pericolosi).

Sul tema dell’impatto delle tecnologie a radiofrequenza, ricerche e monitoraggi sono costantemente in corso da decenni, per scongiurare l’esistenza di rischi finora non osservati; i risultati vengono vagliati dalla comunità scientifica internazionale tramite peer review (referaggio anonimo alla pari tra scienziati della materia) ed accettati se superano verifiche di attendibilità e controllo metodologico[11], aggiungendo così nuovi elementi di conoscenza e aggiornando se necessario le linee guida — come avviene in generale per inquinamento, cambiamenti climatici, alimentazione e stili di vita. È il lavoro di un’intera comunità mondiale: non è sufficiente un singolo studio o esperimento, né un singolo studioso, né un solo gruppo di ricerca; i risultati devono essere statisticamente significativi, ripetibili in modo indipendente anche per evitare falsificazioni, e le verifiche devono confermare in modo rigoroso le tesi suggerite. Un percorso di discernimento faticoso, non esente da errori come nessun processo umano, ma che garantisce le più alte probabilità di ottenere informazioni veritiere, molto più attendibili rispetto ad affermazioni che non sono passate attraverso questo metodo rigoroso.




[1] Angelo Coluccia è professore associato di Telecomunicazioni presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione, Università del Salento, e Vicepresidente del Consiglio di Corso di Studi in Ingegneria dell’Informazione. Laureato in Ingegneria delle Telecomunicazioni nel 2007, ha conseguito un Dottorato di Ricerca sull’analisi statistica dei segnali e progettazione di algoritmi per la rivelazione di anomalie nelle reti cellulari, in collaborazione con il Forschungszentrum Telekommunikation Wien (Austria). Ha svolto periodi di ricerca presso il Dipartimento di Elettronica, Optoelettronica, e Segnali dell’Institut Supérieur de l’Aéronautique et de l’Espace (ISAE-Supaero) di Tolosa (Francia). Collabora con il Department of Electrical Engineering della Chalmers University of Technology (Svezia), il Department of Telecommunications and Systems Engineering della Universitat Autònoma de Barcelona (Spagna), il Fraunhofer Institute of Optronics, System Technologies and Image Exploitation (Germania), e altre università e centri di ricerca in Europa e negli Stati Uniti. Si occupa di problemi teorici ed applicativi in ambito radar, reti wireless, e contesti emergenti tra cui sistemi smart e social networks. È Senior Member dell’Institute of Electrical and Electronic Engineers (IEEE) ed è parte nel comitato tecnico Signal Processing for Multisensor Systems dell’EURASIP (European Association for Signal Processing). È autore di oltre 30 articoli su autorevoli riviste scientifiche e relatore nelle più importanti conferenze internazionali del settore.

[2] Le telecomunicazioni nascono per permettere alle persone di comunicare informazioni di vario tipo a distanza, una esigenza che l’uomo ha fin dagli albori della civiltà e che forse diamo troppo per scontata — ma che in tempi di lockdown da coronavirus si sta rivelando nella sua importanza.

[3] Nel caso più favorevole di spazio completamente libero, senza nemmeno il suolo.

[4] Indicate generalmente con vari termini tra cui small cells, micro cells, o pico cells.

[5] Sarebbe difficile altrimenti gestire il “trasferimento” della connessione da una cella all’altra senza interruzione quando si viaggia in autostrada o addirittura su un treno ad alta velocità.

[6] Le linee guida ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), la cui nuova edizione conferma i limiti di esposizione di 20 anni fa, già includevano frequenze fino a 300 GHz. https://journals.lww.com/health-physics/Fulltext/2020/05000/Guidelines_f...

[7] Benché sia interesse di tutti valutarne i possibili rischi, il 5G è comparso in molte bufale che non hanno alcun fondamento, legate ad esempio a presunte morie di uccelli o taglio sistematico di alberi, e persino alla diffusione del Covid-19 (coronavirus) come evidenziato sia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/advice-for-public/myth-busters che dal Ministero della Salute (bufala #24, “Non ci sono evidenze scientifiche che indichino una correlazione tra epidemia da nuovo coronavirus e rete 5G. Ad oggi, e dopo molte ricerche effettuate, nessun effetto negativo sulla salute è stato collegato in modo causale all'esposizione alle tecnologie wireless). http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5387&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto

[8] Nell’ultimo Rapporto Mondiale sul Cancro (febbraio 2020) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) si ribadisce che non ci sono prove a supporto degli effetti cancerogeni delle onde elettromagnetiche dovute all’uso dei sistemi di telefonia mobile, neanche dove ci sarebbe il maggior rischio, cioè la testa a contatto col cellulare http://publications.iarc.fr/Non-Series-Publications/World-Cancer-Reports/World-Cancer-Report-Cancer-Research-For-Cancer-Prevention-2020
Le radiofrequenze in generale (senza specificare né frequenze né potenze né quali tecnologie) sono classificate dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel gruppo 2B, che è il livello di rischio cancerogeno più basso dove ad esempio si trova anche l’aloe vera, i sottaceti, e molte altre sostanze di uso comune (https://monographs.iarc.fr/list-of-classifications). L’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) spiega che persino sostanze inserite nel gruppo 1 IARC (agenti per cui sono stati riscontrati effetti cancerogeni) possono non essere vietate “perché l'effetto dipende sempre dalla dose: una sostanza può essere cancerogena se assunta a una specifica dose o a una più alta, valutata in laboratorio, e non esserlo a quella con cui le persone ne vengono a contatto nella vita quotidiana” (https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/corretta-informazione/possibile-sostanze-inserite-nella-lista-1-dello-iarc-siano-cancerogene-non-siano-sempre-vietate ).

[9] Sempre nella luce solare a frequenze tra 1 milione e 10 milioni di GHz troviamo poi l’ultravioletto (UV), pericoloso per la salute, che va sempre schermato utilizzando filtri sulla pelle e occhiali adeguati.

[10] Una possibilità interessante sarebbe quella di sfruttare approcci di crowdsensing.

[11] Occorre scongiurare in particolare la presenza di una o più delle tante fallacie logiche che possono inficiare la correttezza del ragionamento, e che sono invece abbondanti nella pseudo-scienza e nel filone complottistico, quali confirmation bias e cherry picking (https://it.wikipedia.org/wiki/Fallacia)

Domenica, 19 Aprile, 2020 - 00:09