"Un'ostentata militanza che aveva più tolto che dato"

Abitavano al piano sopra di noi, lui fumatore accanito e gran estimatore dell’”anice” che metteva dappertutto. Un gran lavoratore, alle prese sempre con quelle poche lire che riusciva a guadagnare in quei tempi. A volte troppo allegro, a volte troppo arrabbiato. Lei, una persona sobria e generosa, una casalinga che non buttava mai niente di quel che cucinava, che faceva qualche piega ai pantaloni, o qualche altra riparazione, rammendava calzini, rivoltava il collo consumato delle camicie.
Quando andammo ad abitare nella casa popolare sotto la loro, avrò avuto una decina d’anni, ma ricordo ancora bene tutti quei racconti su una guerra che non aveva mai fatto, mentre il fumo del suo sigaro mi avvolgeva sino a farmi scomparire. Da gran “pallonaro” quale lui era, mi raccontava  delle sue avventure in Africa tra elefanti e coccodrilli ed io a guardarlo ammirato e spaventato.          
Con mio padre parlava invece di politica, del Partito Comunista, avevano entrambi gli stessi riferimenti, entrambi aspettavano una vita migliore che non arrivò mai, entrambi sognavano di veder migliorate le condizioni di lavoro di loro operai. Vissero negli stenti e negli stenti si spensero entrambi, con evidenti segni di risentimento, se non di pentimento per una ostinata militanza che aveva più tolto che dato.
Nell’ora di pranzo o di cena, sul tavolo di cucina, non ho visto mai mancare il vino e lui da quello era tentato, quel bicchiere in più lo faceva prima straparlare e addormentare poco dopo. Ogni tanto si sentiva gridare, si sentiva imprecare, ma dopo un po’ tutto si calmava.  Si ammalò che era vicino agli 80 anni, lottò a lungo ma mostrò i primi segni di cedimento che cominciavano i primi freddi.  Seguii mia madre che vidi correre d’improvviso al piano di sopra, mi misi in un angolo come per non farmi vedere e sentii lui dire : "Io non so com’è andata". 
Solo qualche anno dopo capii quel che voleva dire, lei aveva capito subito.  Si chiedeva se era riuscito a farla felice, se era stato un buon marito, senza riuscire a darsi una risposta. La sola cosa che sapeva: erano  stati insieme sino alla fine. "Io lo so com’è andata – rispose lei – se dovesse esserci una seconda vita sceglierò ancora te". E mentre gli sussurrava di non andar via, lui volò in cielo stringendole la mano e accennando un sorriso. L ‘ultimo. Si spense così, tra il profumo di miele e di pigne in quel Natale del ’66 a poche ore dalla mezzanotte.  Il rumore dei botti sparati per strada coprì la mia voce che gli sussurrava: "Buon Natale nonno".  Era così che lo chiamavo, “nonno”, ma questo avevo dimenticato di dirvelo.

Giovedì, 3 Gennaio, 2013 - 23:59