Una nuova resistenza

Caro direttore, anch’io avevo pensato e scritto e anzi avevo dato per certo che alle elezioni sarebbe seguito un accordo programmatico tra PD e M5S e la conseguente nascita di un governo. L’insistenza con la quale il M5S rifiuta di partecipare e di appoggiare con la fiducia una tale soluzione mi ha indotto a meglio riflettere sulle motivazioni del rifiuto e la proposta dei famosi otto punti da parte PD mi ha confermato che sbagliavo. In effetti, come da vari commentatori è stato notato, gli otto punti non sono che una enunciazione vaga di ciò che si intende fare e soprattutto non dicono come lo si intende fare, con quali mezzi e per raggiungere quali risultati.
Inoltre tra quei punti non è presente uno che costituisce l’obiettivo principale di M5S, che è quello di rigenerare il modo di fare politica trasformandola da “politica a pagamento” in “politica di servizio e di volontariato”. Mi riferisco al tema del finanziamento pubblico dei partiti e, quindi, della politica.
Il PD, omettendo nella proposta l’enunciazione di questo punto, dimostra, al di là delle vacue enunciazioni di cui infarcisce i propri comunicati, di non avere alcuna intenzione di promuovere questo rinnovamento. Ed è comprensibile, dal suo punto di vista.
Infatti, l’operazione ipocrita e truffaldina compiuta da tutti i partiti dopo il referendum sull’abrogazione del finanziamento pubblico, consistita nel cambiare nome al sistema di elargizione preesistente e nell’aumentare a dismisura la quantità di denari di cui la politica si è appropriata, nasconde la volontà di continuare a mantenere, a spese dei cittadini, gli enormi apparati di mezzi e risorse umane che hanno finora consentito il controllo del territorio e del consenso elettorale.
Ciò che prima si chiamava “finanziamento pubblico” è stato denominato “rimborso elettorale”, ma la sostanza è rimasta identica e il PD, costretto dalla crisi, si dice disponibile a ridurne gli importi, ma non ad abolirlo, con la scusa che senza di esso i poveri un potrebbero fare politica.
Quanto alla riduzione, il gioco è chiaro: è quello del furbo mercante che prima alza il prezzo e poi fa finta di fare lo sconto. Quanto all’impedimento per i poveri, il PD fa finta di dimenticare che non si tratta di abolire tout court il finanziamento, bensì di abolire il finanziamento pubblico e, quindi, forzoso, salvaguardando (e regolamentando) quello privato, i cui cespiti possono consistere nelle donazioni, nei lasciti, nell’attribuzione di risorse attraverso il 5 per mille, ecc., il quale avrebbe anche il pregio di premiare o punire i comportamenti dei partiti a seconda della loro maggiore o minore virtuosità.
Ma al di là delle valutazioni di opportunità, c’è, comunque, una obiezione insuperabile rispetto alla posizione del PD ed è costituita dal fatto che su questo tema la quasi totalità dei cittadini che hanno partecipato al referendum si è pronunciata per l’abolizione del sistema. E’ non è lecito a nessuno, in democrazia, disattendere la volontà del popolo espressa col massimo strumento di democrazia, qual’è il referendum. Ciò che, invece, è stato fatto da tutti i maggiori partiti, compreso il PD, ed è stato fatto attraverso un artificio (cambiamento del nomen iuris) ed un raggiro (utilizzazione impropria ed illegittima del potere di fare leggi), perpetrando così per vie pseudo legali un vero e proprio reato di truffa ai danni della collettività.
E’ appena il caso di ricordare, infatti: a) che in una democrazia rappresentativa il parlamento ha il potere di fare le leggi in virtù di un mandato ricevuto dai detentori primi di quel potere: i cittadini. b) Il referendum (nel caso di specie abrogativo) è un istituto attraverso il quale i cittadini si riappropriano temporaneamente e sostanzialmente del potere di legiferare. c) Ne consegue che l’azione attraverso la quale il parlamento fa rivivere una legge che i cittadini hanno inteso abrogare non è altro che un raggiro perpetrato contro la volontà del massimo organo detentore del potere legiferante.
A questo proposito, sarebbe molto interessante vedere come la penserebbe un giudice al quale venisse sottoposta una questione per la restituzione dei denari che con questo vile e vergognoso escamotage i partiti hanno sottratto alle tasche dei cittadini.
Ma, per tornare alla questione iniziale, le domande sono: come è possibile e quale coerenza ci sarebbe nel fidarsi (e quindi concedergli in parlamento la fiducia) di un partito che non solo si è reso corresponsabile dei comportamenti sopra descritti e di tanti altri (e dei conseguenti danni materiali e d’immagine), ma persiste tutt’ora a voler proseguire, sia pure in forme ridotte (forse in attesa di tempi migliori in cui potersi rifare di quanto ora va a perdere?), su una strada che è in assoluto contrasto proprio con quel rinnovamento e con quel bene comune che dice di voler perseguire? E com’è possibile sottrarsi al dubbio che questa non sia l’ennesima operazione di facciata, di maquillage di un corpaccione marcio e decrepito che cerca solo di continuare a procurare pastura per il verminaio che prospera al suo interno? Com’è possibile liberare tanti, troppi cittadini dall’idea che andare a votare significhi compiere una sorta di atto di riconoscenza per qualcosa che la politica gli ha dato o gli ha promesso, senza estirpare questo modo di fare politica, che trova alimento in questi onnipotenti e onnipresenti e opprimenti apparati?
Penso che se si riflette su tutto ciò, forse si può capire meglio la posizione di M5S e condannare ancora una volta i tentativi di far pressione sugli eletti e di scompaginarne le fila per poi farne preda a supporto dei soliti, deprecabili, inconfessabili e vergognosi interessi di partito, in nome di una presunta, inefficace, inconcludente e forse anche dannosa per i cittadini, governabilità.
Forse sarebbe davvero più proficuo lasciar passare fino in fondo questa “nottata” fino all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e poi andare di nuovo al voto, sperando che più elettori di quanti non l’abbiano fatto finora comprendano e premino lo sforzo immane che il M5S sta compiendo per resistere con coerenza alle sirene della vecchia politica imbellettata e truccata che ci porterebbe a dover rivivere le porcherie che stiamo vivendo ormai da circa cinquant’anni.
Forse questo è il momento di una seconda “Resistenza”, da fare senza l’uso delle armi, finché è ancora possibile.

Mercoledì, 13 Marzo, 2013 - 00:03