Sei domande sul megaparco
“La comunità dei cittadini è fonte delle leggi e titolare dei diritti. Deve riguadagnare sovranità cercando nei movimenti civici il meccanismo-base della democrazia, il serbatoio delle idee per una nuova agenda della politica. Dare nuova legittimazione alla democrazia rappresentativa facendo esplodere le contraddizioni fra i diritti costituzionali e le pratiche di governo che li calpestano in obbedienza ai mercati. Ricreare la cultura che muove le norme, ripristina la legalità, progetta il futuro.”
Concetti tratti da una “descrizione” del contenuto del libro di Salvatore Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune – Einaudi, 2012. Concetti che mi inducono a riflettere sul tema “Centro commerciale SI, centro commerciale NO” a Galatina.
Mi sovviene di un’affermazione più volte ripetuta (e che condivido) dell’attuale assessore ai servizi sociali, Prof.ssa Daniela Vantaggiato, nonché consigliere di opposizione nella precedente amministrazione Coluccia, la quale, a proposito del tema riguardante lo sviluppo della città sosteneva la necessità di approntare un piano complessivo nel quale individuare in modo univoco la direttrice principale di tale sviluppo, che a sua volta dovrebbe fungere da criterio da porre a fondamento delle decisioni da assumere per la soluzione dei problemi che si presentano nel corso dell’attività politico-amministrativa.
Il ragionamento, mi pare, non fa una grinza. Per questo mi chiedo se ora che la prof.ssa Vantaggiato contribuisce al governo di questa città, si sia fatta carico di sostenerlo e, possibilmente, di farlo recepire all’intera giunta.
Mi pare che partire da un progetto generale di sviluppo, stabilendo in che direzione muoversi, sia essenziale per poter poi assumere decisioni fra loro coerenti nei diversi settori dell’amministrazione del territorio.
Mi pare anche che occorra coerentemente e con lungimiranza inquadrare il progetto nella tendenza, che si va sempre più delineando, verso un ritorno alla riaffermazione di valori che l’ubriacatura consumistica ci ha fatto smarrire per strada, come la salvaguardia dell’ambiente, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.
Valori che sono, peraltro, oggetto di attenzione della nostra bella (e, appunto, lungimirante) Carta Costituzionale (art. 9) e chi è chiamato a perseguire il bene comune non può esimersi dal rispettare, a dispetto delle finora imperanti “mode” neo capitalistiche e consumistiche, rispetto alle quali abbiamo ormai acquisito un altissimo grado di assuefazione e dalle quali urge disintossicarsi, se vogliamo uscire dal vicolo cieco nel quale ci siamo cacciati seguendo i vari pifferai magici che ci hanno (s)governati negli ultimi vent’anni, di fatto continuando e aggravando ancor più i disastri provocati dalla c.d. prima Repubblica.
Se, dunque, la stella polare che deve guidare qualunque attività amministrativa pubblica dev’essere individuata nei valori enunciati e tutelati dalla Costituzione alla quale - non dimentichiamolo mai - i pubblici amministratori prestano giuramento di fedeltà, allora non può sorgere alcun dubbio sulla strada da seguire nella soluzione del problema se concedere o meno il permesso per la costruzione del centro commerciale in contrada Cascioni.
Mentre, infatti, la Costituzione da un lato afferma perentoriamente, senza “se” e senza “ma” l’obbligo di tutela dei beni comuni sopra ricordati, con riferimento, invece, alla libertà dell’iniziativa economica privata, stabilisce che essa “Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza…” (art. 41)
I pubblici amministratori sono, dunque, chiamati a valutare da un lato se la realizzazione dell’opera proposta violi i principi inderogabili fissati nell’art. 9 e dalla’altro se essa, pur tutelata dal principio di libertà dell’iniziativa economica, non sia tuttavia in contrasto con l’utilità sociale o non arrechi danno alla sicurezza. Siamo, cioè, di fronte ad una scelta tra la salvaguardia di beni comuni e, in quanto tali, pubblici, e un bene privato (l’iniziativa economica), per giunta sottoposto a forti limitazioni costituite dal rispetto di beni, ancora una volta, pubblici (utilità sociale e sicurezza).
E’ un problema, questo, da affrontare e risolvere prima e al di sopra di qualunque altra considerazione di convenienza economica e/o fiscale.
Mi permetto, in proposito, sia pure facendo le dovute proporzioni, di richiamare la situazione alla quale ha condotto il caso ILVA, le cui cause risalgono proprio alla continua e pervicace violazione dei principi costituzionali sopra richiamati da parte di coloro che di volta in volta sono stati chiamati ed hanno (sper)giurato di tutelare, con la loro azione amministrativa, i beni comuni di cui si sta discutendo.
A chi potrebbe obiettare che il progetto non è in contrasto con alcuno dei principi già richiamati, rivolgo l’invito a riflettere sulle seguenti domande:
1) Siamo proprio sicuri che l’opera non “inquini” il territorio sotto il profilo paesaggistico e naturalistico?
2) Siamo proprio sicuri che tale opera sia socialmente utile? E cioè:
3) Quale utilità sociale vera può rivestire la creazione di qualche posto di lavoro (quasi certamente precario e sottopagato), che per giunta potrebbe essere ugualmente creato incentivando lo sviluppo commerciale (e turistico) nel centro antico, mettendo a frutto le tante vocazioni, anche artistiche e culturali presenti fra i nostri giovani?
4) Quali garanzie di vera utilità sociale e di vero progresso può fornire una iniziativa economica che, oltre a deturpare il territorio galatinese proprio nella sua parte migliore sotto l’aspetto agricolturale, comporta inevitabilmente rischi di fallimento e di conseguente chiusura, come dimostrano le continue recenti vicende che hanno interessato altri centri commerciali presenti sul territorio? E in tal caso, cosa ne sarebbe di quella distesa di cemento? Non potrebbe, forse diventare l’ennesima cattedrale nel deserto, l’ennesimo obbrobrio creato dall’insipienza umana?
5) Come è pensabile coniugare la presenza di simili mostri di cemento con la vocazione turistica e culturale che pure nei programmi elettorali tutti hanno dichiarato di voler imprimere alla città e al suo territorio?
6) Chi si prefigura maggiori entrate fiscali per le casse comunali, è proprio sicuro che gli stessi (se non migliori) risultati non possano ottenersi attraverso quelle che deriverebbero dalla tanto sbandierata e mai attuata incentivazione dell’attività commerciale nel centro antico, che oltretutto avrebbe il pregio di essere più stabile nel tempo, più attrattiva turisticamente e assolutamente rispettosa della vocazione agricola del territorio circostante?
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