Scusa, Silvia

"E in questo fazzoletto di Italia, pure qua, da Galatina, partono parole volgari contro Silvia, inspiegabilmente serena"

Era scritto. Non le avrebbero mai perdonato di essere una donna, di scendere dall’aereo con un sorriso radioso, di non maledire l’Islam, il Paese che l’ha sottratta alla sua famiglia, di non pronunciare immediatamente parole compiacenti verso il Governo, di indossare il velo. Meglio triste, emaciata, di una sofferenza televisiva, sfacciata, evidente, purchè in un paio di jeans.
Vorticose, come il vento di scirocco di questi giorni, le parole che imputridiscono l’etere con l’odio verso il diverso; puzzolenti, rancide, imperdonabili. Silvia Romano è tornata a casa, ma la notizia è che si sia sposata con uno dei rapitori, che sia incinta, che si sia convertita alla religione dei miscredenti, che sorrida. Questo Paese – anzi, una sua parte, una sua parte orribile - non sa ridere perché una figlia sua è viva, sa solo avvelenare l’aria con la dietrologia delle ragioni della conversione, non sa accogliere la ricchezza della diversità che è frutto dell’esperienza, sa solo bestemmiare contro la vita.
Le confidenze di questa ragazza che fa un mestiere difficile (che sì, lo ha scelto lei, ma che resta difficile e prezioso e che no, no se l’è cercata per niente) sarebbero dovute restare quello che erano… confidenze, appunto.  L’abbraccio con sua madre sarebbe dovuto bastare, senza che nessuno osasse vedere dietro al velo un altro vessillo per fomentare uno scontro di civiltà che, ancora una volta, straripa sul corpo di una donna.
E in questo fazzoletto di Italia, pure qua, da Galatina, partono parole volgari contro Silvia, inspiegabilmente serena; con toni apparentemente non violenti, con quell’ironia da social, da cabaret, da battutina sul divano di casa, data però in pasto a milioni di possibili lettori. Dagli “intellettuali” agli impiegati delle poste, dai politici alle casalinghe, tutti hanno diritto, alla pari, di sputare parole velenose, nell’arena anonima dei social: non le ripeterò quelle parole puzzolenti, guai a fare da eco a tanta volgarità. Le tastiere da cui sono partite quelle insinuazioni, quei doppi sensi, quelle accuse, quegli insulti, lo sanno; e pure quelle dita lo sanno, e pure quei cuori, sordi, lo sanno; e pure quegli occhi, che, poveretti, non hanno visto abbastanza mondo per scoprire quanto sia bello ogni suo angolo, tremendamente e meravigliosamente diverso dall’angolo dietro casa, lo sanno.
Ho il sospetto che ci sia un Paese diverso da questo; uomini e donne che da queste settimane di chiusure coatte e di aperture di cuore inaspettate stanno imparando tanto; che non si accontentano dello schermo dello smartphone per conoscere, che non sanno mettere a tacere la loro curiosità bambina, attratti da quello che è diverso, molto di più da ciò che si illudono di conoscere; che non hanno ricette da proporre, soluzioni pronte da somministrare, simboli con cui identificarsi per giustificare la propria esistenza. Che gioiscono per il coraggio e per il sorriso di tutte le Silvia del mondo. E le trovano bellissime.

libione

Venerdì, 15 Maggio, 2020 - 00:08