Santa Maria del Tempio non è mai stata in Piazza Vecchia. Lo dimostrano i documenti

Sosteneva il compianto Donato Moro, riconosciuto esperto di fonti salentine, che qualora emergesse conflitto tra un documento comprovato ed una tradizione «non possono permanere incertezze di sorta: deve essere messa da parte la tradizione, anche se solenne per il suo protrarsi nel tempo»[i]. È proprio questo il caso della scomparsa chiesa di S. Maria del Tempio di Galatina che una antica “tradizione” storica, risalente a Michele Montinari nella sua Storia di Galatina[ii], vuole collocata in piazza Vecchia e che ora, al rinvenimento in quell’area di un edifico sacro [?] diruto, una sparuta schiera di novelli proseliti ed accoliti di quella “tradizione” non solo ritiene di aver individuato l’esatta ubicazione di quella chiesa, ma favoleggia addirittura su una misteriosa presenza templare.
La storia – era solito affermare lo studioso salentino Nicola Vacca - non si scrive né con i se né con i ma, la storia è storia di fatti, di cose accadute e qui i fatti e le cose sono, ahimé molto differenti.
Tra le quarantacinque chiese e cappelle che «teneno nel territorio de Santo Petro […] possessioni per li quale devono prestare alla Regia Corte la […] servitute de li frutti provenienti de ipsi possessioni», riportate in un Inventario de la regia Corte, redatto nell’anno 1464[iii] elenco poi  confermato, nel 1478, anche nel Liber decime[iv] del collettore apostolico incaricato di riscuotere la decima pontificia sui beni immobili nessuna di esse risulta dedicata a S. Maria de Templo. Questo significa che la nostra chiesa, la seconda metà del XV secolo, o non aveva possessioni oppure non era esistente.

È annoverata invece, qualche decennio più tardi, tra i titoli delle settanta ecclesiae intra et extra moenia registrati nella Visita pastorale effettuata a S. Pietro in Galatina, tra il 24 settembre ed il 1 ottobre 1538, dall’arcivescovo idruntino Pietro Antonio de Capua (1536-1579) che così la descrive: «Deinde accessit ad Ecclesiam S.te M.a de Templo quo est de jure patronatus Angeli Zacharia. Est capellanus in ea subdiaconus Zacharias de Zacharia. Sunt duas portas est altarem est campanam sin campanili: est hortum apertum fuit mandatum capellanum sub pena privationis beneficij ac facit campanili et provida clausura hortum infra terminus unius mensis. Habet haec bona. In primis in feudo Sugliani iuxta bona Leonardi de Sugliano et olivate ipsis Zacharia habet petium unum seminarum cum arboribus olivarum quattuordecis. Item in pertinentijs de lo fianco iuxta terras Laurentij Cafarello et iuxta terras ecclesiam Sugliani habet tres terre ad hortos»[v].

Ma la notizia più interessante, ai fini della nostra ricostruzione storica, è di certo contenuta nella prima Visita pastorale redatta, nel 1607, dall’arcivescovo Lucio De Morra (1606-1623). Tra le chiese extra moenia, così quel prelato descrive la nostra: «Ecclesia Sancta Maria de Templo diruta sita iuxta Castrum dicta Terra ex occidente, et viam publicam ex oriente, et alios confine caret cappellani, nihil possidet in redditibus»[vi].
Da questa data della chiesa si perdono definitivamente le tracce invano ricercate nelle successive Visite pastorali a cominciare dalla seconda visita del De Morra del 1611, continuando con quella del 1624 di Diego Lopez De Andrade (1623-1628) sino a quelle ottocentesche di Vincenzo Andrea Grande (1834-1871), ma nulla.

Queste quindi le uniche fonti documentali, sin qui, reperite. La chiesa di S. Maria del Tempio dunque, scomparve tra il 1607 ed il 1611, ma soprattutto si può affermare che non solo era ubicata extra moenia, ma che addirittura era sita iuxta Castrum dicta Terra e non in piazza Vecchia, smentendo quindi l’ipotesi del Montinari e di chi su quella ha basato le sue bizzarre e stravaganti supposizioni.

Qualche ulteriore considerazione. Piazza Vecchia, «l’antica piazza», mera “invenzione storica” ottocentesca del giudice Tommaso Vanna[vii], è in realtà un piccolo slargo irregolare al quale si sbuca percorrendo via Vignola lasciandosi alle spalle la chiesa delle Anime. Se non fosse per quell’eterogeneo insieme di volumi[viii]che costituiscono le residenze dei Vignola – quella al civico 2 con l’iscrizione Vignola/1698 e quella al civico 14 con lo splendido stemma araldico familiare – sarebbe un’area urbana priva di qualsiasi emergenza architettonica. È un assurdo urbanistico, come lo ha definito, a ragione, il mio amico Mario Cazzato già nel 1994 nella nostra Guida di Galatina, che nulla ha di platea o piacza pubblica intesa come sede del potere religioso, economico e politico. Anzi, «si dovrebbe seriamente discutere l’identificazione di questo vicinato col nucleo più antico dell’abitato; almeno che questo aggettivo non si riferisca ad una indimostrabile e mitica antichità che comunque non può essere quella della quale possediamo i primi frammentari documenti. E tuttavia non si può nascondere come quest’aggregato abbia in realtà una facies tutta propria, un’organizzazione urbanistica quasi autonoma dal resto dell’impianto urbanistico antico: ma è un dato di fatto che qui invano cercheremo avanzi architettonici anteriori al XVI secolo»[ix].

Il quadrilatero urbano, delimitato dalle vie Ottavio Scalfo, Giuseppe Lillo, Pietro Siciliani e Federico Mezio e definito negli angoli dal complesso conventuale dei carmelitani, da porta S. Pietro, dalla chiesa delle Anime e da palazzo Tanza – Venturi, è da considerarsi semplicemente la nuova area di espansione – per dirla con gli urbanisti – del nucleo più antico che il dilatato perimetro murario cinquecentesco aveva inglobato ed in cui, concordando con Antonio Costantini, «emergono tutti i caratteri dell’urbanistica medievale, fatta di una serie di spontaneismi che manifestano l’urgenza di sistemarsi all’interno della città murata per sfuggire ai pericoli della campagna» racchiudendo, con la sua parcellizzazione spinta, «espressioni di edilizia domestica che trovano nella tipologia della casa a corte un ampio ventaglio di soluzioni»[x].




NOTE:

[i] D. Moro, Hydruntinum. Fonti documenti e testi sulla vicenda otrantina del 1480, a c. di G. Pisanò, Galatina 2002, I, p. 130 n. 120.

[ii] Cfr. M. Montinari, Storia di Galatina, a c. di A. Antonaci, Galatina 1972, p. 212.

[iii] Cfr. C. Massaro, Un inventario di beni e diritti incamerati da Ferrante d’Aragona alla morte del principe Giovanni Antonio del Balzo Orsini (1464), in “Bollettino Storico di Terra d’Otranto”, 15, 2008, pp. 55-145, per le chiese pp. 119-127.

[iv] Cfr. C. Massaro, Un inventario di beni etc., cit., p. 68.

[v] Archivio Diocesano di Otranto (ADO), Visita pastorale del 1538 di Pietro Antonio De Capua, f. 41v.

[vi] ADO, Visita pastorale del 1607 di Lucio De Morra, f. 224.

[vii] T. Vanna, Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato. IX. Terra d’Otranto. Galatina, a c. di F. Cirelli, Napoli 1854-55, p. 34.

[viii] Cfr. M. Cazzato, Palazzi e famiglie. Architettura civile a Galatina tra XVI e XVIII secolo, Galatina 2002, p. 113.

[ix] Cfr. G. Vallone, M. Cazzato, G. Vincenti, A. Costantini, L. Manni, Guida di Galatina. La storia, il centro antico, il territorio, a c. di M. Cazzato, Galatina 1994, pp. 97-98.

[x] A. Costantini, L’edilizia domestica a Galatina. La casa a corte e il mignano, Galatina 2005, p. 104.

 

Questo articolo è apparso su "Il filo di Aracne", a. VIII, n.4, settembre/ottobre 2013, pp. 24-25. 
Ringraziamo l'autore e il direttore per l'autorizzazione alla pubblicazione. (d.v.)
Giovedì, 24 Ottobre, 2013 - 00:07