"Rileggere i primi quattro articoli della Costituzione"

Caro direttore, i media di ogni genere ci ammanniscono a getto continuo polemiche e pareri pro e contro il reddito di cittadinanza. Ma raramente mi capita di veder espresso un concetto che dovrebbe, in una democrazia come la nostra, essere posto alla base di ogni discussione, e cioè che da esso (o da misure analoghe) non si può comunque prescindere, trattandosi di uno strumento che, dopo il diritto-dovere al lavoro di ogni membro della nostra comunità – e in mancanza di esso – la nostra Costituzione impone di adottare a salvaguardia di un diritto ancora superiore, che è quello alla libertà, intesa nel senso il più ampio possibile.
Nei primi quattro articoli della Carta, infatti, viene tratteggiato, quasi, potremmo dire, a mo’ di “navigatore”, il percorso nitido e netto che indica la via per la salvaguardia ed il mantenimento di quella libertà riconquistata, col proprio sangue, per loro e per noi, dai nostri fondatori della Repubblica e alla quale noi abbiamo il preciso dovere, per rispetto al loro sacrificio e per il benessere nostro e dei nostri discendenti, di restare abbarbicati come l’edera, costi quel che costi.
La lettura di quei quattro articoli risulta essere una vera e propria catena di enunciazioni di valori che parte dall’affermazione secondo cui “L’Italia e` una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (Art. 1) per finire con un vero e proprio “inno” alla libertà e all’uguaglianza di tutti i cittadini (Art. 3, 2° co.), passando per la ferma e categorica enunciazione dell’esistenza in capo a ciascun cittadino di un diritto alla “pari dignità sociale” (Art. 3, 1° co.) e ponendo, infine, in capo alla Repubblica (e dunque a chi è chiamato a governarla) il preciso e irrinunciabile dovere di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
E allora, prima ancora di arrovellarsi, a mo’ di dottori azzeccagarbugli di manzoniana memoria, sui Pil, sui deficit, sugli spread, sulla presunta e mai dimostrata sacralità dei c.d. mercati e su tutte le altre argomentazioni facenti parte dell’armamentario di cotanta saccenteria, i nostri ineffabili “governanti” e tutti coloro che li sostengono o li osteggiano “a prescindere”, farebbero bene a rileggersi ogni mattina appena svegli, prima di mettersi alla “guida” di questo sventurato e immemore Paese, i primi quattro articoli di quella Costituzione sulla quale hanno giurato e proporre solennemente a sé stessi di decidere e agire in modo tale da non risultare spergiuri.
E ciò dovrebbe valere a maggior ragione per i parlamentari, i quali, anche se, purtroppo, non hanno giurato (ma non sarebbe forse giusto e sacrosanto prevedere il giuramento anche per loro?), devono ricordare sempre che sono lì in rappresentanza del popolo sovrano, per realizzare il “patto” stipulato tra il popolo e lo Stato e scolpito a caratteri cubitali nella Carta, non per farsi gli affari propri e/o delle lobby (fuori le lobby dal Parlamento!) che li foraggiano.
E ancora a maggior ragione dovrebbe valere per il Capo dello Stato, che ha giurato di essere il custode supremo della Costituzione, i cui principi fondamentali non manca, giustamente, di ricordare a tutti noi, salvo poi promulgare senza battere ciglio qualsiasi schifezza venga approvata da un Parlamento troppo spesso “distratto” (?), in nome del rispetto di una malintesa supremazia dello stesso. Dimenticando, invece, che il Parlamento rappresenta il Popolo e che, in quanto tale, è tenuto ad esercitare (per delega!) quella sovranità che “appartiene al popolo” e che, a mente dell’art. 1, 2° co., dev’essere esercitata “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Sabato, 5 Gennaio, 2019 - 00:07