Quelle palafitte sul mare

Non ho ricordi molto chiari, e non ricordo neanche i luoghi precisi. Ricordo che quelle tre o quattro volte che si andava al mare in estate, partivamo dalla villa col pullman o dalla stazione col treno.     Destinazione Santa Maria al Bagno o Gallipoli. La cosa che faccio fatica a ricordare sono i luoghi in cui c’erano quelle cabine di legno a mo’ di palafitte sul mare, con una scaletta interna che ti portava dritto in acqua. Erano a schiera ed era una di quelle che prendevamo in affitto per l’intera giornata, su quella spiaggia che non ricordo.
Ricordo quella scaletta che io usavo a mo’ di trampolino e quell’acqua cristallina su cui sbatteva tante volte la mia pancia. Passavamo l’intera giornata al mare sino all’imbrunire, poi alla fermata della “corriera” o in stazione, generalmente stracolme di gente. A pranzo si mangiava qualcosa di veloce per non appesantirsi troppo ed io a contare ogni minuto di quelle famose due ore che mia madre diceva di aspettare prima di entrare nuovamente in acqua.
Intorno qualche “sandalino” colorato spinto un po’ dai remi e un po’ dalle onde e tante “camere d’aria” di macchina o meglio ancora se di camion gonfiate a mo’ di salvagente. Dal jukebox della spiaggia arrivavano le note della canzone dell’estate di quell’anno ed io che avevo perso la voce a cantare CON TE, YE’ YE’ CON TE YE’ YE’, CON TE CHE SEI LA MIA PASSIONE...                                           Pochi accenti non  salentini in giro, la costa e il paesaggio conservavano ancora quella bellezza naturale che da lì a breve avrebbero irrimediabilmente perso.  Per strada sfrecciava qualche timida ‘500  color panna, nel Vietnam sfilavano i carri armati americani. L’instancabile Don Santo, era alle prese con una interminabile raccolta fondi per la costruzione della nuova Chiesa nel Rione Italia.
Si andava a bere o si riempivano i recipienti dall’acqua delle tante fontane sparse per la città.  Tempo di “fichi” e  marmellata, di frittelle e crostata.  Qualche anno dopo ero impegnato a far prove di ballo davanti allo specchio per cercare d’imparare qualche passo del “twist”. 
Al ritorno ero sempre un po’ triste, con lo sguardo fisso a guardare attraverso il finestrino l’ultimo pezzo di mare che spariva.   Poi mi si chiudevano gli occhi, poi un tratto a piedi preso per mano da mia madre per arrivare a casa, un po’ accaldati e non po’ scottati. 
La sera non finivo più di raccontare quella giornata al mare, tra nuotate e tuffi a testa in giù, esagerando  ogni racconto. Come quel tuffo fatto dall’ultimo gradino della scaletta che portava al mare, di quel camerino sull’acqua.  Quel tuffo perfetto, braccia dritte e gambe chiuse che aveva scatenato l’applauso dei bagnanti.  Ed io  avevo ancora la pancia arrossata e per qualche giorno mi fece sempre un po’ male.

Sabato, 17 Agosto, 2013 - 00:04