Quella casa chiusa

Magicamente quando arrivava maggio, si cominciavano a vedere porte e finestre aperte. Si cominciava a fare qualche lavoro di potatura a piante e siepi, oppure si imbiancavano le parti esterne  o le stanze interne. Insomma si preparavano e si pulivano, poi dopo la festa patronale eravamo tutti nelle case di villeggiatura o di lavoro.
Su quell’estensione di terra tutt’intorno, coltivata a grano, tabacco o angurie, si perdevano gli occhi e a volte non si riusciva neanche a vederne la fine. Dopo il freddo inverno, quei posti si popolavano, riprendevano a  vivere, i balconi si aprivano e le luci si accendevano. E la sera eravamo tutti riuniti all’aperto o in casa di qualche vicino.
La luna sempre lì a farci compagnia, ad ascoltare i nostri discorsi fatti di storie vissute o racconti di magnifiche annate. Non si poteva mai fare troppo tardi, i “grandi” si dovevano alzare alle prime luci dell’alba. Noi dormivamo ancora per un po’ e quando ci svegliavamo, cercavamo di essere utili e aiutare per quel che potevamo.
Le case, divise da qualche stradone o da un pezzo di orto, erano tutte vicine, ci conoscevamo tutti e quando qualcuno era in difficoltà per un qualcosa, tutti correvano in suo aiuto.
La casa a fianco alla nostra, quell’anno tardava a spalancare porte e finestre ed io ogni giorno passavo più volte davanti per vedere se notavo qualche movimento o almeno qualcuno per chiedere quando si sarebbero “ritirati”.
Erano i miei migliori amici, due gemelli, stessi divertimenti, stesse passioni. In inverno, abitavamo così lontani  che non ci vedevamo quasi mai.
Ormai stavamo tutti lì da un bel po’ ma quella casa era ancora chiusa, ed era proprio brutto non vedere alcuna luce accesa la sera e non dividere i giochi con i miei migliori amici. Si seppe ad estate ormai inoltrata che la madre dei miei migliori amici stava male, “malissimo” come ci fu detto da un loro parente. Era fuori per motivi di salute, per cure.
Quel giorno per me finì l’estate che per tutto l’inverno avevo aspettato. Mi chiusi in casa e per la prima volta e anche l’ultima, feci i “compiti delle vacanze”.
Quando arrivarono le prime piogge, fu per me un sollievo, l’estate era quasi finita, si tornava in città. Insieme alle prime piogge arrivarono le prime buone notizie: la madre dei miei migliori amici stava meglio. Sarebbe presto tornata a casa.
Fu una gioia per me che nel frattempo stavo preparando le cose per il ritorno in città e per l’inizio del nuovo anno scolastico.
Quell’inverno fu più lungo degli altri, non vedevo l’ora che passasse e non vedevo l’ora di rivedere quella casa accesa. Quando ci “ritirammo” erano gli ultimi giorni di giugno e quando passammo davanti, la loro casa era già aperta.
Ci fermammo a salutarli ed io abbracciai a lungo i miei migliori amici. Eravamo tutti un po’ cresciuti, tante cose non ci divertivano più ma quell’estate fu più il tempo che passai a caso loro che a casa mia. Quasi non mi sembrava vero, quella casa aperta mi faceva felice.
Continuammo a vederci d’estate per altri anni, poi sempre meno, magari impegni, nuove amicizie, fino a perderci col passare del tempo, di vista.
Ma quando ricordo quella “casa chiusa” rivivo le stesse sensazioni, le stesse emozioni, la stessa malinconia e se anche i miei migliori amici non li vedo quasi più, mi piace ricordarli specialmente d’estate.
Avevamo sandali, pantaloncini corti e maglietta a righe, le ginocchia rovinate e le mani sporche di terra. Correvamo senza fermarci mai, andavamo a caccia con le “frecce” fatte da noi, sbagliavamo le tabelline, non sapevamo la storia, non sapevamo cosa la vita avrebbe fatto dei nostri sogni, che cambiavano di giorno in giorno, ad ogni sbadiglio, ad ogni risveglio.

Lunedì, 25 Luglio, 2016 - 00:07