Quei colpi di riga sulle mani
Mamma che male quando quella riga picchiava forte sulle mie mani. Tutta colpa delle “tabelline” che non riuscivo o non mi impegnavo ad imparare. "D’Errico alla lavagna" – fece la voce del professore e dopo qualche secondo ero già là. Furono domande senza interruzione, cinque per sette, sei per nove, otto per otto, fioccarono una dietro l’altra ed io puntualmente a sbagliare tutte o quasi tutte le risposte. Ad ogni risposta sbagliata, e furono tante, quella riga picchiava duro sulle mie mani aperte per ordine del “Maestro” che tra una domanda e l’altra sottolineava ripetutamente la mia strana somiglianza ad un “asino” senza peraltro togliere nulla all’asino.
Quando tornai al banco, con davanti il calamaio e la penna con il pennino, non mi sentivo più le mani, non capivo se erano aperte o chiuse. Le misi nelle tasche del grembiule e aspettai che piano piano si riprendessero. A volte ce la mettevo tutta ma quella “maledetta matematica” e quelle “stramaledette tabelline” non riuscivo proprio a farmele entrare in testa.
Eravamo alle elementari ed era il mio “periodo nero” dei numeri. I numeri lasciarono il posto ad altre materie, e le materie lasciarono il posto ad altri “periodi neri” della vita. Ma per i “periodi neri” successivi almeno le mie mani furono in salvo. Fu la peggiore interrogazione della mia vita, interrotta solo da qualche lacrima. Non ero preparato ma quelle domande incalzanti di quel “Maestro” che dimenticai troppo in fretta, fecero il resto.
Non mi perdonai quella brutta figura fatta davanti a tutta la classe. Mi impegnai come non avevo mai fatto e quando dopo un po’ fui richiamato "alla lavagna” non ce ne fu per nessuno. Risposi a tutte le domande, e le “tabelline” le fissai così bene in memoria che ancora oggi dopo tanto tempo resistono. Solo qualche giorno fa per una strana combinazione mi è stato chiesto "quanto fa cinque per cinque?" Non aspettavo altro, ho risposto senza neanche pensare "fa venti " . Appunto, senza neanche pensare.
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