Pubblicata la sentenza contro Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa
È stata pubblicata ieri la sentenza del Tribunale della Stato della Città del Vaticano contro Paolo Gabriele, emessa il 6 ottobre scorso, con la quale lo si dichiarava colpevole del delitto di furto aggravato. Come si ricorderà il Tribunale ha condannato Gabriele alla pena di tre anni di reclusione, ma "considerate l'assenza di precedenti penali, le risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, il convincimento soggettivo - sia pure erroneo - indicato dall'imputato quale movente della sua condotta, nonché la dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre, diminuisce la pena ad anni uno (1) e mesi 6 (sei) di reclusione; condanna il medesimo al rifacimento delle spese processuali".
Il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., ha spiegato questa mattina nel corso di un briefing alcuni punti della sentenza, centrata sul delitto di sottrazione di documenti, sopratutto di testi originali, mentre non sono stati considerati rilevanti altri oggetti come una pepita d'oro, un assegno a nome del Santo Padre e una edizione rinascimentale dell'"Eneide", giacché esistono contraddizioni sia nella modalità della perquisizione durante la quale sono state trovate e non risulta la colpevolezza provata di Gabriele.
Relativamente all'imputabilità dell'accusato è stato escluso, mediante perizia psichiatrica, qualunque grave difetto psichico che impedisca di essere consapevole delle responsabilità dei fatti. Il Tribunale si è preoccupato di definire i termini giuridici del delitto di furto, la sottrazione di un oggetto o il suo possesso, senza il consenso del proprietario, con il fine di ottenerne beneficio. Per cui si tratta di furto e non di appropriazione indebita, però è stato specificato che il beneficio che Gabriele voleva ottenere non era di natura economica ma intellettuale e morale.
Altro tema è stato quello della "suggestione" di Gabriele da parte di terze persone. Un termine interpretato anche come complicità o influenza. L'imputato afferma che la parola non significa collaborazione di altre persone, ma influsso dell'ambiente che ha portato la convinzione soggettiva di agire per il bene del Santo Padre e della Chiesa.
Per quanto attiene alla questioni delle aggravanti e delle attenuanti, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha precisato che ai primi corrisponde il furto con abuso di fiducia e la diffusione di documenti riservati; ai secondi l'assenza di precedenti penali e la convinzione morale di Gabriele.
In riferimento alla condanna, il Padre Lombardi ha ricordato che il Tribunale si è basato sulle pene previste per questo delitto dal Codice Penale; il Promotore di Giustizia aveva chiesto per Gabriele l'interdizione perpetua del disimpegno di cariche pubbliche, però, giacché la condanna finale è di un anno e sei mesi ed il Codice Penale non prevede tale misura, l'interdizione rimane limitata. Parimenti è stato deciso, sempre per la gravità del delitto, di non applicare la sospensione condizionale della pena.
Infine, il Direttore della Sala Stampa, ha informato che Paolo Gabriele continua ad essere agli arresti domiciliari, considerato che fino alla pubblicazione della sentenza, il Promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, Avv. Giovanni Giacobbe, non può ricorrere in appello. Se non c'è ricorso entro il termine stabilito, la sentenza sarà esecutiva e l'imputato dovrà scontare la pena nella prigione del Vaticano, giacché non vi è una convenzione con lo Stato Italiano in questa materia. Tuttavia, è sempre possibile che il Santo Padre conceda la grazia a Paolo Gabriele, ma, essendo una decisione personale, non si può conoscere se e quando ciò si verificherà.
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