"Profumerò di pecore come esorta a fare il Papa"

Le riflessioni di don Biagio Mandorino dopo il suo trasferimento a Cocumola

Carissimo Dino, ti rispondo solo ora perché volevo farlo con calma. Purtroppo in questi giorni portando l’Opera Sacra (A coloro che hanno vinto, ndr) in giro per la Provincia il tempo è davvero poco poco, tenendo conto che io non dirigo solo ma procedo con i sopralluoghi con i tecnici e poi insieme a loro preparo il necessario per l’esecuzione e con loro smontiamo dopo che tutto è finito. Quindi le mattine per i sopralluoghi, i pomeriggi per il montaggio e le notti per smontare… Anche questa è evangelizzazione.
E arrivo alla risposta alle tue domande.
Sono passati davvero velocemente due anni da quando l’Arcivescovo mi chiese di guidare spiritualmente la Confraternita della Madonna del Carmine qui a Galatina. Ora è il momento di ripartire per una nuova avventura a servizio della Comunità Parrocchiale di Cocumola.
Molti si meravigliano perché pensavano che arrivato a Galatina, “finalmente a casa mia” mi accasassi e nessuno poteva più muovermi…. Che strane idee… “dovrai ricominciare da capo”… Ma per me non è una novità. Da quando sono sacerdote mi sono abituato ad uno stile di provvisorietà.
Ripenso a cinque anni come Vicerettore e professore nel Seminario Arcivescovile di Otranto, poi un anno e qualche mese come Cappellano dell’Ospedale di Galatina, poi Parroco di Giurdignano per dodici anni, Parroco di Martano per tre anni e Rettore della Confraternita del Carmine in Galatina per due anni. Lo sapevo già in partenza che la mia era una sistemazione “provvisoria” in attesa di una possibile soluzione per svolgere al meglio il mio servizio anche in seno all’Ufficio Liturgico Diocesano,  alla Commissione Diocesana per l’Arte Sacra e i Beni Culturali, nell’Ufficio Musica e come Direttore del Coro Diocesano.
Evidentemente è importante che sia anche inserito  in una Comunità Parrocchiale che mi faccia sentire in pieno il gusto di lavorare per il Regno di Dio.
Smonto ora l’accampamento e mi trasferisco.
Ovunque il Signore mi ha chiamato a lavorare, l’ho fatto con amore e passione senza risparmiare nulla né per me né per i miei familiari che si sono accontentati di qualche ritaglio di tempo. Ovunque ho seminato e ovunque ho raccolto il centuplo di quanto avevo donato, insieme a tante difficoltà e rifiuti e opposizioni.
Accolgo con gioia questa decisione dell’Arcivescovo come un dono di Dio consapevole (al contrario di come qualche buontempone pensi) che una Comunità piccola sia l’ideale per una evangelizazione capillare e per ricevere tante e tante soddisfazioni.
Beh, se il Papa dice che noi sacerdoti dobbiamo profumare di pecore io ancora una volta ce la metterò tutta. Vado a vegliare il gregge e sono sicuro che solo lì potrò rigustare la gioia del cuore, quella che viene da quell’annunzio straordinario: “Oggi è nato il Salvatore”.
Con affetto, caro Dino.

Caro don Biagio, per uno di quei casi che ai più possono apparire misteriosi ma per chi ha il dono della fede non lo sono affatto, proprio qualche ora fa mi è capitato di leggere l'incipit di 'Dono e mistero', il libro di Giovanni Paolo II sulla sua vocazione sacerdotale. Te lo ripropongo qui come augurio di buon lavoro fra le tue 'nuove pecorelle'. (d.v.)

"Nel suo strato più profondo, ogni vocazione sacerdotale è un grande mistero, è un dono che supera infinitamente l'uomo. Ognuno di noi sacerdoti lo sperimenta chiaramente in tutta la sua vita. Di fronte alla grandezza di questo dono sentiamo quanto siamo ad esso inadeguati.
La vocazione è il mistero dell'elezione divina: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15, 16). «E nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne» (Eb 5, 4). «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1, 5). Queste parole ispirate non possono non scuotere con un profondo tremore ogni anima sacerdotale.
Per questo, quando nelle più diverse circostanze — per esempio, in occasione dei Giubilei sacerdotali — parliamo del sacerdozio e ne diamo testimonianza, dobbiamo farlo con grande umiltà, consapevoli che Dio «ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia» (2 Tm 1, 9). Contemporaneamente ci rendiamo conto che le parole umane non sono in grado di reggere il peso del mistero che il sacerdozio porta in sé". (Giovanni Paolo II, Dono e mistero, Libreria Editrice Vaticana)

Mercoledì, 13 Agosto, 2014 - 00:07