Pietro Colonna detto "il Galatino"

Fu teologo, filosofo ed esegeta di fama mondiale. È sepolto a Roma in Aracoeli

Non si conosce con esattezza la denominazione del casato di Pietro Galatino, che si  faceva chiamare in tal modo dal nome della città natale, in quanto appartenente all’Ordine dei Frati Minori.    Tuttavia il domenicano Alessandro Tommaso Arcudi, nella sua opera Galatina Letterata (Genova, 1709), con sicurezza afferma testualmente: “…Nacque in S. Pietro in Galatina da Filippo Colonna, famiglia estinta: ed una sorella, chiamata Leonarda, fu moglie di Antonio Arcudi…”. Opinione questa che, sebbene all’epoca fosse condivisa da altri autori, lo stesso A.T. Arcudi  fu costretto a difendere strenuamente  in polemica con l’abate Domenico De Angelis, autore dell’opera in due tomi “Le vite de’ Letterati Salentini” (Napoli , 1713), a pag. 213 della quale a è addirittura riportato un ritratto del Galatino con la scritta:  “Petro Mongiò vulgo dicto  Galatino a S. Petro Galatinae. […].    Dominicus de Angelis Lyciensis.”  
L’Arcudi nel corso di detta polemica col De Angelis affermò anche che la madre del Galatino si chiamava Caterina Mollona.

Intanto la tesi del De Angelis sembrava prevalere, in quanto il vescovo galatinese Lorenzo Mongiò (1551 – 1632), dichiarandosi pronipote del Galatino otteneva dal papa  il permesso di trascriverne le opere, che si trovavano nella Biblioteca Vaticana. Ma a tal proposito l’Arcudi aveva già scritto che il suddetto Lorenzo Mongiò era “…pronepote del Galatino per via materna…”.   

   Con accurate ricerche sulla denominazione del casato del personaggio in questione, lo storico Giancarlo Vallone ha demolito la tesi che la stessa fosse ‘Colonna’, ma senza accettare quella di ‘Mongiò’. Egli, Infatti, nel 1989 ha pubblicato un saggio dal titolo propositivo “Pietro S. Galatino”, nel quale in maniera adeguatamente documentata sostiene che la lettera iniziale del vero cognome del Galatino fosse una “S”,  introduttiva di un cognome probabilmente albanese. Questo è stato poi confermato, sia pure con qualche riserva, dallo stesso Vallone in un suo articolo, pubblicato nel n. 5 /2013 della rivista ‘il filo di aracne’. Tale conferma è avvenuta sulla base di uno scritto dell’artista galatinese Pietro Cavoti, rinvenuto nel museo di Galatina da Luigi Galante. In tale scritto è detto che il Galatino era figlio di un soldato albanese di nome Tho. Spanoi. Questi, sbarcato in Calabria con  l’esercito del condottiero Demetrio Reres, aveva disertato e, vagando senza fissa dimora, si era rifugiato, forse nel 1459, in Galatina. Qui fu assunto come domestico da persone benestanti e, messa su famiglia, ebbe dei figli, tra i quali Pietro Spanoi, il quale  volle, però, cambiare per sempre il proprio cognome con quello di Galatino, datogli nel Convento Santa Caterina, dove aveva iniziato i suoi studi.
Tuttavia c’è chi sostiene che, mentre rifiutava il suo vero cognome, egli accettava o addirittura agevolava quello di Colonna, che, sebbene fosse insignificante in Galatina, era invece di gran prestigio a Roma, dove visse a lungo.
La data di nascita di Pietro Galatino, prima variamente indicata dai biografi, è stato poi possibile fissarla con sufficiente approssimazione intorno al 1460, in quanto egli nel dedicare intorno al 1539 una sua opera al vescovo di Nicastro (CZ) dichiarava di avere 79 anni, e sottraendo il numero 79  da 1539 si ottiene appunto 1460.
 Giovanissimo entrò  come novizio nel Convento de Frati Minori in Galatina, dove rimase almeno fino al 1480, poiché a proposito dell’eccidio di Otranto, avvenuto in quell’anno, in un suo scritto ha dichiarato: “…Pauca referam, quae oculis   vidi… . ” […Riferirò le poche cose che vidi con i (miei) occhi… .].
Poi, per l’eccezionale intelligenza e per la ferma volontà di proseguire gli studi  dimostrate, fu mandato a Roma, dove rimase fino alla morte, allontanandosene solo per non lunghi periodi. Infatti nel 1492 fu a Taranto per prendere visione del testo della profezia di San Cataldo; nel 1506 fu a Napoli per incontrare il conquistatore del Regno di Napoli, il  re spagnolo Ferdinando II il Cattolico, al quale dedicò il “De optimi principis”, dicendo “ Prego dunque che la tua maestà si degni di accettare il mio piccolo dono con volto benevolo (come è tua abitudine) e che consideri affidati alla tua benevolenza me, il mio Ordine* del quale sei molto devoto, la stessa mia patria* e tutto questo regno”. .
Dimorò a Bari, in qualità di Ministro dei Frati Minori della “Provincia Apulia”, intitolata a San Nicola, nell’ultima fase unitaria dell’Ordine minoritico, cioè prima che papa Leone X, successore di Giulio II, separasse con la bolla “Ite vos” (29 maggio 1517) i Frati Minori Osservanti dai Frati Minori Conventuali.

Dal 1536 al 1539 fu ancora Ministro provinciale dei Frati Minori Osservanti.
Pietro Galatino, stando a Roma, alla perfetta conoscenza del latino e del greco aggiunse quella dell’ebraico, nel quale acquistò una tale pratica da essere creduto egli stesso un ebreo convertito, e studiò anche l’etiopico. Per questa larga conoscenza delle lingue fu lodato dall’imperatore Massimiliano I, fautore dello studio delle lingue orientali per la propaganda della fede, nonché dall’arcivescovo di Nazaret, Giorgio Salviatis. Detta conoscenza, però, fu soprattutto utile a lui stesso per l’interpretazione dei testi della Sacra Scrittura.
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(*) Non è da escludere che con tale omaggio il Galatino abbia voluto richiamare la benevola attenzione del sovrano spagnolo sui problemi della Comunità francescana di Galatina, che nel 1484 aveva perduto il Convento S. Caterina, in quanto il re Alfonso II d’Aragona lo aveva donato, insieme all’Ospedale di Galatina e al relativo  patrimonio, all’Ordine Olivetano. Perciò era in corso da anni una penosa lite fra i due Ordini.

   Comunque è certo che in maniera inaspettata sia entrato in scena, inviato (forse su preghiera del re Ferdinando il Cattolico) da papa Giulio II, il  cardinale Giovanni Antonio di San Giorgio, vescovo di Frascati che riuscì a mettere d’accordo gli olivetani con i francescani. Infatti, con atto notarle del 1° giugno 1507, i primi, accettarono di conservare il possesso dell’Ospedale di Galatina e del suo patrimonio, cedendo ai secondi il Convento S. Caterina e il giardino detto ‘Parco’. 
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    Egli, inoltre, frequentando il circolo romano che si raccoglieva intorno al cardinale  Egidio Canisio da Viterbo, apprese la cabala, cioè la divinazione del futuro a mezzo di lettere, numeri, figure o sogni, appassionandosene tanto da non sapersi più sottrarre all’influsso delle preoccupazioni criptografiche che essa gli suggeriva

   E’ probabile che il Galatino abbia esercitato il magistero di teologia e di lingua greca, mentre è certo che egli sia stato Penitenziere Apostolico della Basilica di San Pietro in Roma nonché cappellano prima del cardinale Lorenzo Puccio e dal 1531 del

Cardinale Francesco Quinones. Questa preminente posizione in Roma gli consentì di contrarre autorevoli amicizie. In particolare entrò in relazione con i pontefici Leone X e Paolo III, dei quali fu anche commensale, e fu in corrispondenza, oltre che con l’imperatore Massimiliano I  e il re Ferdinando II il Cattolico, con Carlo V,  con Enrico VIII d’Inghilterra e con i più celebri umanisti del suo tempo.

    Il Galatino ebbe in vita grandissima fama come teologo, filosofo, esegeta, tanto da essere esaltato in versi latini ed ebraici, e il noto  grecista tedesco Giovanni Reuchlin lo salutava “doctissime ac disertissime, gemma Ordinis Minorum”.

Tale fama declinò, però, dopo la sua morte che avvenne probabilmente nel 1540, in quanto sappiamo che lasciò incompleto il trattato De vera Theologia, al quale lavoravain anni successivi al 1536, mentre Luca Wadding, storico dell’Ordine francescano, riferendosi all’anno 1539 afferma: “vivebat in hoc anno in senili iam aetate frater Petrus”.

Quindi egli morì all’età di circa ottanta anni e fu sepolto nella chiesa di  Aracoeli in Roma, dove volle che fossero custoditi i suoi manoscritti, che tuttavia furono poi trasferiti nella Biblioteca Vaticana.

Anche sulla sua immagine non è mancata l’incertezza, giacché è da ritenere del tutto fantastico il ritratto riportato nel libro del De Angelis. Mentre è accettabile la seguente descrizione che ne fa A. T. Arcudi: “Fu Pietro Colonna di bell’aspetto, pallido, e femminile, di faccia pienotta, e alquanto tonda, come appare dal suo ritratto, ch’io tengo in rame.” Questa immagine (senza tener conto del riferimento al ritratto in rame, che nessuno ha visto o può vedere) corrisponde in tutti i lineamenti alla miniatura del viso del francescano, che si trova in una Q iniziale sulla copertina dell’unico suo libro stampato, il “De arcanis catholicae veritatis, Ortona a Mare, 1518”, del quale una copia era nel Convento S. Caterina ed ora si trova nella Biblioteca “P. Siciliani” di Galatina.

A conclusione di questa breve biografia di Pietro Galatino si fa presente che  egli nei suoi numerosi scritti, oltre al già citato riferimento all’eccidio di Otranto, non dà altre notizie relative ad importanti avvenimenti del suo tempo (basti per tutti il sacco di Roma del 6 maggio 1527 ad opera dei lanzichenecchi), sebbene ne sia stato spettatore o certamente persona bene informata, data la sua grande amicizia con personaggi che all’epoca erano di prim’ordine.

Delle opere di Pietro Colonna si parlerà in un prossimo articolo.   

                   

                                                                                                                
 

Martedì, 1 Dicembre, 2015 - 00:07