Passeggiando a Galatina in Piazza Aligheri

Per una delle più tipiche, e pressoché inestirpabili, caratteristiche del "cuore" umano – tutto ciò che fa parte della nostra più minuta quotidianità tende a divenire "invisibile", lo diamo talmente per scontato da non vederne più le profonde implicazioni. È per questo che, di tanto in tanto, si rende necessario rinfrescare lo sguardo che volgiamo alle cose consuete, per poterne magari riassaporare la freschezza e la forza attutite, e nutrircene. Un colpo d'occhio alla piazza centrale di Galatina, conferma questa "condizione"; quanti di noi, ed io stesso per molti anni, passando o passeggiando per la piazza si sono soffermati (e soffermano) a riflettere anche per un momento, sul fatto che le quattro più importanti "istituzioni" socio-culturali della storia occidentale, sono materializzate, visibili e tangibili, appunto in un unico colpo d'occhio, e che tre di esse quasi si fronteggiano, quasi simboleggiando "materialmente" le loro affinità e le loro contraddizioni?
Mi riferisco alla imponente facciata della Chiesa Madre – simbolo e incarnazione della "nostra" identità cattolica – e ad ogni modo della componente religiosa della vita sociale – e ciò vale anche per i non credenti, come ci ricordano le parole di Pasolini: "Non soltanto c'è... un profondo cristianesimo alle radici di ognuno di noi, ma la religione ...che è stata espunta, che è stata cacciata, che è stata respinta dai comunisti per un secolo, cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Duemila anni non sono nulla. Noi crediamo che duemila anni siano una cifra enorme. Ci sembra che 80 generazioni si perdano nella notte dei tempi. In realtà nella storia globale dell'Umanità duemila anni non sono proprio nulla. Noi siamo ancora dei figli diretti, gli eredi diretti degli uomini di duemila anni fa. E quindi il momento religioso che c'è in noi, è un momento ancora vivo, attualissimo. Cacciarlo da noi, non è possibile. Viviamo ancora in quell'ambito culturale che ha prodotto il cristianesimo e le religioni".
Con questo non intendo dire che dobbiamo obbligatoriamente rendere omaggio alla Chiesa attuale; così come indicando il successivo simbolo, non intendo assolutamente affermare che dobbiamo rendere omaggio a tutte le forme attuali della politica; in entrambi i casi intendo dire che siamo tenuti a riconoscerne l'importanza e l'incidenza nell'averci formati, come quelli che, un po' smemoratamente, siamo.
Ho anticipato il rivolgere lo sguardo alla non meno dominante mole del "castello" Castriota-Scanderbeg che simboleggia naturalmente il potere "temporale", il potere politico, che con i suoi fasti ed i suoi abusi è, ad ogni modo, quell'istituzione della quale, nel bene e nel male, sinora – se si eccettuano esperimenti effimeri ed utopie – nessuna società umana ha potuto fare a meno. E sono abbastanza studiate e note le vicissitudini "politiche" traversate dalla Città nella storia, anche se mi pare manchi ancora una percezione diffusa della loro rilevanza, assolutamente non limitatamente locale, almeno in epoca orsiniana, ma non solo durando essa; soprattutto in relazione all'Oriente mediterraneo. Il Castello nel suo stato attuale sembra anche, ad ogni modo, quasi dar corpo a quella lapidaria, ed ironicamente consolante, tesi di Vilfredo Pareto, il più grande sociologo italiano del primo Novecento: "Le aristocrazie non durano. Qualunque ne siano le cagioni, è incontrastabile che dopo un certo tempo spariscono". Ed è chiaro che qui intendo riferirmi ai ruoli che le diverse elite hanno giocato nel fare del Sud il sud.
E la terza istituzione? Qual è? La banca? Mi perdonino i simpatizzanti del libero mercato, ma non è al mercato che penso; mi fa piacere introdurre la terza istituzione con le parole di un altro importante autore salentino del Novecento, anche se non galatinese: "Questa che ora si svolge nei gabinetti scientifici al giusto centro del secolo ventesimo è certo la più sconvolgente delle rivoluzioni che siano mai state, primo atto di più sconvolgenti e risolutive rivoluzioni, le quali certamente seguiranno ... L'energia nucleare, la velocità ultrasonica, la disgregazione dell'atomo, il volo interplanetario. (...) Quale voce umana può gridare tanto forte da sovrastare l'uragano scatenato dalla fisica? Quale fievole labile suono hanno le parole che si scambiano dall'oriente e dall'occidente, dal nord e dal sud, capi di Stato, capi di governo, capi di partito, capi di esercito, capi d'industria? Che significato, che peso possono più avere discorsi reali, presidenziali, parlamentari, municipali, comiziali? Il mondan rumore s'è fatto fiato estremamente sottile e vano – La scienza (non la Russia, né l'America) sta per conquistare il dominio assoluto del mondo". Questo singolare "avvertimento", rivolto anche ai poteri, spirituale e politico, di cui sopra, l'ho tratto dalle pagine del Diario di Michele Saponaro, e datano 3-4 agosto 1955. Specifico che, contrariamente a una certa tendenza piuttosto diffusa in Italia, Saponaro non demonizza in alcun modo la scienza, ed i saperi scientifici; che, tornando nella nostra piazza, sono simboleggiati dalla casa che fu di Pietro Siciliani; e che uno strano gioco del caso ha voluto che fronteggi la facciata della Chiesa.
Paradossalmente al Siciliani, il più alto riconoscimento, è stato tributato proprio dai suoi, Egli vivente, principali avversari "teorici": i Cattolici. Ed anche questo lo ricordo, senza voler riattizzare polemiche che nella forme in cui sono divampate non hanno ragione di essere riproposte oggi – anche se non hanno mancato forse di danneggiare, alla lunga, il riconoscimento dell'opera dello stesso. Certo unitamente ad una sonora, quanto sommaria, stroncatura teorica "stilata" da Giovanni Gentile.

In rete è consultabile questa tabella:
Siciliani, Pietro La scienza nell'educazione. 1881
Siciliani, Pietro Su l'insegnamento religioso ai bambini secondo i dettami della filosofia scientifica. 1881
Siciliani, Pietro La critica nella filosofia zoologica del XIX secolo; dialoghi. 1882
Siciliani, Pietro Socialismo, darwinismo e sociologia moderna; seconda edizione accresciuta d'un nuovo lavoro: La questioni contemporanee. 1882
Siciliani, Pietro Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia. 1882
Siciliani, Pietro Della psicogenia moderna in servigio degli studi biologici, storici e sociali; terza edizione ampliata con prefazione di Jules Soury. 1882
Siciliani, Pietro Prolegomeni alla moderna psicogenia. 1882
Siciliani, Pietro, e Bonelli, G Teorie sociali e socialismo; conversazione epistolare. 1882

(link: http://www.cvm.qc.ca/gconti/905/BABEL/Index%20Librorum%20Prohibitorum-1948.htm)

Come si ricava dal link, la tabella è presa dall'ultima edizione ufficiale dell'Indice dei Libri Proibiti, anno 1948, approvata dalle autorità vaticane. A più di mezzo secolo dalla sua prematura scomparsa le opere di Pietro Siciliani venivano ancora considerate non gradite alle e dalle gerarchie ecclesiastiche! Nemmeno due Guerre Mondiali, intendo lo sconvolgimento sociale e culturale che ha attraversato, producendolo e subendolo, l'Europa, avevano cancellato la letterale "messa all'indice". Come ho già rilevato, si tratta – sia pure a rovescio – di un notevole riconoscimento; del riconoscimento della potenziale "incidenza", o addirittura pericolosità "intellettuale", dell'opera di Siciliani, a scala almeno nazionale. Opera frattanto caduta, quasi del tutto, nel dimenticatoio; ma questa in Italia è sorte che tocca a molti; affossare i nostri "classici", salvo riesumarli per (spesso costose) commemorazioni ad hoc, sembra essere uno sport nazionale tra i più intriganti; basti pensare alla sorte dell'opera di Gramsci, e dico il Gramsci teorico, che è uno degli autori tra i più studiati al mondo, e tra l'altro negli Stati Uniti (paese non certo comunista!); e quasi del tutto trascurato in Italia, salvo che da pochi specialisti.

Ma tornando alla nostra Piazza; ho detto che l'opera è solo quasi, caduta nel dimenticatoio, e dirò a breve perché. La casa di Pietro Siciliani, immaginandola quale la "casa della filosofia e delle scienze" è – storicamente – come la prosecuzione di un'altra casa, che pure sorgeva in Piazza, la casa dell'Arcudi, andata prima in rovina e poi distrutta. Le "riproduzioni" di alcuni dettagli degli interni di essa sono state "rinvenute" da Luigi Galante nei taccuini del Cavoti, e sotto la guida del Prof. Vallone, riproposte alla fruizione dei Galatinesi e non solo. Ed anche se tra la "litteratura" dell'Arcudi e le scienze del Siciliani, c'è stato, come si usa dire in gergo filosofico, un cambio di paradigma, nondimeno possiamo anche rinvenire una continuità dell'Istituzione Conoscenza "laica", che affonda anch'essa a Galatina, le sue radici nei secoli.
Attorno al Siciliani fervono ad ogni modo importanti attività; sotto la responsabilità scientifica del Prof. Vallone sta per essere pubblicato il ricchissimo epistolario della moglie, Cesira Pozzolini, nell'ambito di un progetto finanziato dal CUIS (Centro Universitario Interprovinciale Salentino) che fa capo alla Provincia di Lecce – e ciò anche grazie all'impegno certosino, di trascrittore, del giovane e rigoroso studioso Francesco Luceri, che ha già pubblicato peraltro due validi saggi su aspetti rilevanti dell'opera del Siciliani. E guardando ad un passato abbastanza recente, disponiamo anche dei tre volumi che racchiudono gli Atti del Convegno, curato dal Prof. Invitto, alla metà degli anni Ottanta, grazie ad un finanziamento fatto avere all'Università di Lecce da Beniamino De Maria. Per amor di correttezza intellettuale specifico che (fatte salve le proporzioni a mio sfavore) NON mi riconosco, per formazione ricevuta e per scelte fatte, nella posizione teorica di Pietro Siciliani. Questo, tuttavia non mi impedisce, in alcun modo, di riconoscere sia la gittata concettuale della sua produzione, sia la sua rilevanza storica, ed, in certa misura, attuale; dalla quale possiamo trarre cioè ancora oggi alimento. Per anticipare qualcosa di ciò che cercherò di mostrare in altra occasione, l'opera di Pietro Siciliani mi appare fortemente sottostimata in generale, e non meno misconosciuta, nel senso della posizione che probabilmente le spetterebbe in una rinnovata sinossi della produzione culturale meridionale, italiana ed internazionale della seconda metà dell'Ottocento.
Ma torniamo ancora in Piazza, nelle sue immediate adiacenze: qual è la quarta Istituzione? Beh! Ha un nomignolo famigliare, noto a tutti i Galatinesi: "la Pupa"; anzi magari qualcuno ignora il titolo della scultura di Martinez, sebbene sia riportato nella targa: "Lampada senza luce". La scultura è piuttosto enigmatica, sembra rappresentare una donna, in tenuta adamitica, uno dei piedi della quale schiaccia una testa, i cui tratti ricorderebbero quelli del Duce. Una delle cose che mi aveva colpito nell'osservazione della "statua" è che, guardata da una certa angolazione, poteva sembrare anche un "pupo" e non una "pupa", una donna. Come se ci fosse un'ambiguità... discorrendo della statua con Benito Derniolo, acuto osservatore anche dei costumi della Piazza, egli mi fece riflettere sul particolare del busto maschile che fa quasi da appoggio alla schiena della "donna". La "pupa" materializza l'Istituzione Arte – che in Galatina ha avuto ed ha eminenti rappresentanti; ma per limitarmi all'ambito storico, oltre al Martinez, è quasi superfluo ricordare Toma, Cavoti, Mariano, Palamà e naturalmente la Basilica di Santa Caterina, fatta oggetto di studio recentemente da Angela Beccarisi, che ha lavorato ad introdurre nuove prospettive d'interpretazione del "monumento". La Basilica non fa parte della Piazza è vero, e non è stata quasi certamente affrescata da frescanti galatinesi – ma nondimeno è – storicamente – uno dei più importanti luoghi di culto, non del solo Meridione italiano, ma in qualche misura, della parte Orientale del Mediterraneo, insieme al Mosaico di Otranto. E lo dico senza ombra di polemica, mi pare, da sola, più importante come luogo di culto e di cultura, delle circa quaranta chiese a facciata barocca che vanta la vicina Firenze del Sud.
Ma perdonate l'ulteriore digressione! Torniamo alla "Lampada senza luce". La mia congettura, per il momento del tutto ipotetica, non molto più che una suggestione – è che il busto maschile, appartenga, alla "Pupa"; in modo che "sostituendolo" all'attuale, avremmo anche "il pupo" e non più solo la donna. E questo potrebbe significare che Martinez abbia inteso raffigurare uno dei simboli più antichi e più nobili della bellezza e della perfezione umane, l'Androgino – la ricongiunzione dei due sessi in un'unità insieme originaria e superiore. Aggiungo, per inciso, che grazie alle nuove tecnologie informatiche, come l'Augmented Reality, un esperto nazionale delle quali, il Prof. Lucio De Paolis è giustappunto galatinese, la "sostituzione" si potrebbe anche simulare; così come si potrebbe simulare la ricostruzione in Realtà-Aumentata della casa dell'Arcudi.

I pochi, e troppo benevoli lettori, che saranno arrivati a questo punto della nostra passeggiata, si saranno forse chiesti come mai io abbia omesso ogni riferimento al più noto, attualmente, dei fenomeni culturali ed identitari che, per una coincidenza davvero improbabile, è pur esso presente nella Piazza, e vi ha anzi il suo nucleo originario, relativamente al Salento. Mi riferisco, com'è ovvio, alla piccola Cappella di S. Paolo (de Santu Paulu) ed al tarantismo. Nonostante la presenza e l'attività nel territorio di uno dei più attenti studiosi italiani di De Martino, il Prof. Imbriani, le luci dello spettacolo mediatico, mi pare tendano a mettere in ombra – la portata culturale e storica del fenomeno. Ernesto De Martino è stato, credo, il più importante antropologo italiano del Secolo scorso e nel '59 ha svolto la sua prima ricerca interdisciplinare sul campo, proprio a Galatina e nel Salento. E, anche questo sia detto per inciso, non mi parrebbe disdicevole se nella Cappella o al suo ingresso venisse apposta una qualche targa che lo ricordasse agli innumerevoli visitatori, e – perché no? – anche agli stessi abitanti della città. Ma più importante del fatto in sé, sarebbe il recuperare alla memoria parte dello spirito che animava la ricerca di De Martino, del quale Egli scrive diffusamente nella magistrale Introduzione alla Terra del rimorso, il volume che raccoglie l'esperienza e gli esiti della ricerca. Poiché allo sguardo etnografico di De Martino, l'esperienza del tarantismo – dolorosa, sul piano esistenziale, per chi ne è colpito – si rivela come l'esperienza del limite delle Istituzioni che abbiamo incontrato e ricordato prima, del limite cioè della stessa cultura e civiltà occidentale moderna e non solo moderna. E ciò in quanto essa darebbe corpo all'esigenza "di una ricerca storico-religiosa, che considerasse il tarantismo come episodio del conflitto fra cristianesimo e paganesimo, nel quadro della società e della vita culturale meridionale". Consentendo all'etnografo – e a noi tutti – di confrontarci sul piano simbolico con le radici popolari, contadine, ancestrali – allora come ora, spesso rimosse – della nostra "identità" nel suo stratificarsi storico, poiché come sottolinea lo stesso De Martino con immagini dirette ed efficaci: "...proprio i depositi alluvionali lasciati in queste terre dal millenario fluire delle civiltà acquistavano ora particolare valore di testimonianze: accanto all'unico abito ripulito del dì di festa anche il vestito logoro e pieno di toppe dei giorni di fatica concorre a narrare una certa storia umana". Ma l'interesse di De Martino non sta soprattutto nello scrivere o ri-scrivere una "storia degli umili", anche se su questo tema vi sono pagine bellissime nelle sue opere, ma sta nella possibilità – in un mondo, com'egli stesso già sottolineava, sempre più multiculturale, essa diventa sempre più necessaria – che il viaggio etnografico si trasformi in una "presa di coscienza di certi limiti umanistici della propria civiltà, e di uno stimolo di andare «al di là» non dell'umano in generale, ma della propria circoscritta umanità «messa in causa» da una certa congiuntura storica: presa di coscienza e stimolo che comportano un viaggiare non in senso mitico, ma in quello di raggiungere sistemi di scelte culturali che sono semplicemente «diversi» dal nostro, nel quale siamo «nati e cresciuti»".
Per un paradosso forse non raro viaggiando per le vie del Sud e dell'Oriente, ma che nella Piazza di Galatina ha certo uno spessore insolito, nello stesso luogo, nel raggio di poche decine di metri incontriamo, quindi, le tracce di differenti cicli di civiltà, alle quali apparteniamo. E divenire sempre più attenti a questa complessa e controversa eredità, unica nel suo genere, potrebbe essere tanto un'occasione per valorizzare e promuovere meglio il nostro territorio, nel breve periodo; quanto, nel medio-lungo termine, un esercizio atto a rafforzarci nell'affrontare le spinte pur sempre omologanti della così detta "globalizzazione".

Venerdì, 9 Novembre, 2012 - 11:15