Parlavano alle pietre

Queste riflessioni hanno un limite: non traducono il silenzio ed il dolore che solo chi ha vissuto la tragedia del “naufragio di terra” (come racconta Erri De Luca) può con verità proporre. Non possono le mie parole rappresentare i sentimenti di chi, quale “naufrago”, è sopravvissuto o si è lentamente spento in un buio polveroso.
Eppure per ciascuno di noi esiste una possibilità di fuggire, attraverso la parola, dal senso di angoscia e di impotenza che pervade difronte a tali catastrofi naturali. Quelle parole, scritte o lette, sono nello stesso tempo il senso del nostro limite e la nostra forza.
Il mio pensiero percorre la superficie degli avvenimenti, lo sguardo corre su ogni casa diroccata e ferita e l’abuso di scrutare quel che resta nel ventre squarciato d’una stanza, mi riporta tra le mie mura ad osservare quel che potrei lasciare appeso alle pareti, custodito in un cassetto. Lo sguardo che corre tra le pietre esplose dal tempo mi riconduce al senso della vita. Tante immagini si sovrappongono, ogni fotogramma scorre veloce così che ogni quadro appeso, ogni sedia vuota, ogni orsacchiotto sospeso perdono la loro “immensa anima” e si fanno “cose perdute” di una tragedia materiale.  L’abitudine all’immagine rende il sentimento repellente all’ascolto delle nostre sensazioni più profonde.
Basta poi una storia un volto segnato che riporti il senso del dramma, per svegliare il torpore del nostro sguardo e renderlo vigile ed attento anche alle parole che non troviamo.
Ma ci sono immagini che raccontano di parole che non ascoltiamo e che con grande ferocia comunicativa mi inchiodano alla mia finitudine.
Il corpo chinato di chi, dopo aver scavato a mani nude alla ricerca d’un corpo, continua con la voce a cercare tra le macerie, in un buio inaccessibile, un’altra voce. Non c’è immagine che possa violare quella “segreta simmetria” tra vittima e salvatore; non c’è sonoro che possa rendere il senso vero di quelle voci che si perdono tra le pietre e che possono anche incontrarsi e custodirsi.
E le pietre diventano una nuova casa di richiami, di speranza e di disperazione, un luogo a cui la vita e la morte sembrano parlare.
Ogni soccorritore che s’allontana definitivamente da un pertugio, porta con se il peso d’un crollo ed il silenzio d’una voce mai giunta.
Ogni persona che non ha potuto stringere una mano tesa, merita che quei luoghi parlino ancora di lei.

 

 

 

Domenica, 28 Agosto, 2016 - 00:06