Paparine cu le vulie
Caro Dino, con i festeggiamenti di Sant'Antonio Abate, lo scorso 17 Gennaio, e la tradizionale "Focara" a Novoli, siamo ormai nel Carnevale. Questo periodo dell'anno, che precede quello quaresimale, riporta indietro negli anni tutti noi. Pensando ai veglioni di carnevale galatinesi, famosi in tutta Italia, alle maschere e ai festeggiamenti che c'erano "alla scisa de l'oruloggiu", ai costumi che imbastiva e cuciva a "Vata Citrana" riciclando vecchi abiti, alla frittata di pane che si mangiava il martedì grasso o a quei piatti di paparine cu le vulie che si raccoglievano nei campi in questo periodo, c'è da chiedersi se tutte queste abitudini e usanze che non abbiamo più, non sia il caso di rispolverarle e riconoscere questi antichi sapori della cucina dei contadini e riproporle sulle nostre tavole.
Le paparine cu le vulie ad esempio rappresentano un piatto molto gustoso, sano ed economico. In questo periodo dell'anno i nostri campi sono pieni di questa pianta, che non è altro che la rosetta basale del papavero comune, dal quale, a fine inverno, fioriranno i comuni papaveri rossi. Si, proprio quei fiori che coloreranno i campi e gli argini delle strade, trasmettendo allegria al paesaggio e all'osservatore.
Vengono chiamati così da quando gli antichi mischiavano il succo di questa pianta alla pappa dei bambini al fine di farli addormentare. Infatti anche le nostre nonne quando si rendeva necessario acquietare i neonati, somministravano la pupatella, un ciucciotto di pezza intinto nel succo della pianta; ai più grandicelli che si dimostravano particolarmente irrequieti e piuttosto nervosi facevano assaggiare, appunto, le paparine cu le vulie.
Basterebbe approfittare di qualche pomeriggio libero per andare nei campi, ovviamente non in quelli recintati e coltivati, e raccogliere le paparine con l'ausilio di un coltello e qualcuno che le sappia riconoscere; altrimenti si possono acquistare con prezzi modici dai contadini.
La ricetta
Dopo averle pulite, eliminando le foglie vecchie e ingiallite, e lavate più volte per eliminare la terra e piccolissimi frammenti, si pongono ancora grondanti d'acqua, in una pentola dove sono stati fatti rosolare qualche spicchio d'aglio o un po' di cipolla , nell'olio extra vergine d'oliva; si fanno stufare lentamente a pentola scoperchiata, rimestolando spesso. Quando i rosolacci sanno quasi cotti si aggiungeranno delle olive nere (saricine) in salamoia e, a piacere un po di peperoncino. Si aggiunge, quindi, il sale e si completa la cottura. Si servono caldissime e si accompagnano con una fetta di pane di grano duro e un buon bicchiere di vino rosso. Buon appetito a tutti!
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