“Non fare ad altri ciò che non piace a te”.

Se andate a cercare su La7 il programma “L’aria che tira” (http://www.la7.it/laria-che-tira/rivedila7/laria-che-tira-puntata-011220...) del 1° dic. e spostate il cursore alla fine, su 1h e 58’ circa, potrete vedere e sentire come l’On. Roberto Speranza chiede all’ex magistrato e ora scrittore Gianrico Carofiglio: se sei chiamato a fare un pozzo di petrolio sul territorio di una regione, è meglio farlo “con” il territorio (attuale normativa costituzionale) o “contro” il territorio (nuova normativa costituzionale).
E potrete soprattutto ascoltare la risposta, preceduta dall’obiezione per cui la domanda sarebbe “suggestiva” in quanto contiene già la risposta e dunque non lascerebbe scampo, e poi seguita dalla rivendicazione del diritto a “ristrutturare” (=cambiare) la domanda. Tradotto: siccome la domanda mi mette in difficoltà, io decido di rifarmela coma meglio mi garba. E di seguito: “è necessario, certo, coinvolgere il territorio, ma bisogna evitare, com’è accaduto molte volte, ad esempio in materia di rifiuti, che i territori abbiano il potere di interdizione su scelte che servono a tutta la collettività nazionale”. Tradotto: se devi fare il pozzo o far continuare a lavorare l’Ilva inquinatrice o costruire un inceneritore e tutto questo serve alla collettività, si fa e basta. E chissenefrega se questa utilità collettiva, ammesso che esista, provoca la malattia e/o la morte di qualcuno o, peggio, di molti?
Ecco: prendi, incarta e porta a casa.
Se uno commette il delitto di strage per cavoli suoi viene preso e condannato. Se invece la strage (ma anche l’uccisione di un solo innocente), l’uccisione della fauna, l’inquinamento, ecc. avvengono in nome di una presunta utilità collettiva, allora non sono perseguibili. Anzi, è necessario addirittura por mano alla stessa Carta dei diritti fondamentali (la salvaguardia della salute, della vita, della dignità delle persone, del creato), per agevolare gli assassini travestiti da imprenditori, da pubblici amministratori, da onorevoli (!?) nell’assumere ed eseguire decisioni delinquenziali in nome di un’aberrante concezione che confonde ed equipara il progresso tecnologico al vero progresso civile, cioè a quello che privilegia il rispetto della natura e della persona. Ed è quest’ultima concezione di progresso che i padri costituenti, con grande lungimiranza e saggezza, hanno voluto fissare e proteggere da ogni insano e subdolo tentativo di attacco, come quello perpetrato da questa che, giustamente, più che riforma è stata definita “deforma” o “schiforma”.

La risposta data da Carofiglio mette in luce in modo esemplare lo stretto collegamento esistente tra modifiche formali (in questo caso, ridistribuzione di poteri tra Stato e Regioni) e incidenza delle stesse sui diritti sostanziali come sopra esemplificati; ma anche, per altro verso, la leggerezza con la quale a volte anche persone indubbiamente fornite di notevole cultura (nella specie, anche giuridica) e intelligenza reagiscono di fronte a temi e problemi gravi, che attingono le basi del vivere civile, facendo vacillare le ragioni stesse dello stare insieme e che, infine, si possono riassumere nell’antico principio del diritto romano del neminem laedere o, per i credenti, del “non fare ad altri ciò che non piace a te”.

Ma ciò che induce ancor più a pensare (male) è il fatto che proprio quello stesso progresso tecnologico che si vorrebbe invocare per giustificare l’ingiustificabile attentato alla vita in ogni sua forma, offre ampie possibilità di soluzione dei problemi attraverso il ricorso a tecnologie più d’avanguardia ed eco-compatibili, sulle quali non mi soffermo perché sono ormai note a tutti. E dunque non si comprende come si persista nell’utilizzazione di tecniche ormai obsolete e inquinanti. Atteggiamento spiegabile solo con lo scarso senso di responsabilità e con l’assenza di valori umani veri nella nostra classe dirigente, troppo dedita all’adorazione del dio denaro.

Antonio Marra

Venerdì, 2 Dicembre, 2016 - 00:05