Nera per caso
Era così nera che di sera neanche si vedeva ed era solo l’inizio di quell’ondata migratoria che, da lì a breve, sarebbe scoppiata. Capelli raccolti e occhi tristi e tanta voglia di liberarsi da quella condizione di “schiavitù”, tanta voglia di liberarsi di quelle infinite ore di lavoro, lavorate per pochi spiccioli e con disumana fatica.
Era questo che lamentava dopo più di un anno di sofferenza e rassegnazione, un anno interminabile.
A risolvere quel problema fummo “stranamente bravi” e andò bene anche dopo, infatti dopo una breve pausa trovò fortunatamente un lavoro più “umano” e “generoso”.
Nell’ufficio di quella città dove lei si era rivolta ero solo di passaggio, sostituivo temporaneamente un collega, per cui non appena sarei andato via non ci sarebbero più state occasioni per incontrarsi ancora.
Fu proprio quando venne la prima volta, mentre aspettava, che sentii un bambino chiederle: “perché sei nera, nera???” Mi venne spontaneo toglierla dall’imbarazzo e rispondere: “E’ nera così, per caso!!”.
E fu da quel giorno che cominciammo scherzosamente a chiamarla nera per caso, senza che lei mostrasse il minimo fastidio.
L’unica paura che le era rimasta era quella per il “mare”, quella lunga traversata e quella lunghissima notte l’avevano irrimediabilmente segnata.
“Passerà” le facevo io. E lei scuoteva la testa come per dire: “chissà?”
Era di passaggio quando entro entrò a salutarci e a ringraziarci per la centesima volta.
Era contenta, vestita all’italiana, quasi alla moda e quasi correttamente parlava l’italiano.
Era felice, le si leggeva negli occhi.
Finalmente ero tornato nella sede del mio paese ed era un giugno infuocato di quelli che non ti fanno respirare e ti tolgono la voglia di fare qualcosa.
Un silenzio quasi surreale fu interrotto dal suono di un messaggio appena arrivato: “ Ciao Pietro, oggi sono al mare. Grazie di tutto. Firmato: nera per caso”.
Aveva ricominciato a vivere, forse a sognare.
Non aveva nessuna paura, non aveva più paura del mare.
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