Alla ricerca del tempo perduto

Osservazioni sull’incontro dibattito con Fausto Bertinotti

Per i primi sessanta minuti, ho sofferto ad ascoltare la storia del disfacimento della Repubblica Italiana, fondata sul lavoro. La prima Costituzione al mondo ad avere “il Lavoro” come principio fondante della convivenza civile si ritrova a vivere in una situazione storica in cui il lavoro è negato come diritto ed umiliato dal punto di vista retributivo e della gratificazione della efficienza e qualità.
I Padri costituenti, questi uomini nobili non per censo ma per integrità morale e spirito patriottico, scrissero i capitoli della Costituzione italiana e diedero vigore alla rinascita democratica del paese.
Una storia da raccontare, impossibile da riscrivere usando quella stessa velina. Mancano gli uomini e la cultura di quel tempo.
Ero insofferente ad ascoltare il relatore mentre descriveva, con occhi distaccati, questo disfacimento, come se non fosse stato anche Fausto Bertinotti uno dei protagonisti del fallimento di una classe politica, di un sistema di valori e di principi.
Ha detto Woody Allen: “Dio è morto, Marx è morto, e neanche io mi sento tanto bene”.
E’ rimasto solo Dio, nelle sembianze di Francesco, Papa, come portatore di una delle verità possibili. Ma questa è solo la fine della storia, la fine del racconto umano e politico di Fausto, ex leader maximo.
Fausto non sta tanto bene e Marx è morto. E si, perché Marx vive finché resta nei libri, tra le pagine di analisi e di studio del fenomeno “Capitale”, dei valori di un proletariato che lotta, prima per la consapevolezza del proprio ruolo, e poi per il riscatto sociale; un proletariato che lotta contro il padrone, e per una distribuzione equa della ricchezza, per il riconoscimento dei propri diritti in quanto scaturiti dal rispetto per la dignità della persona. Poi Marx scavalca la pagina del libro, e si reincarna nei leaders maximi: sindacalisti, arringatori di popolo, segretari di partito, dispensatori orali di diritti, istigatori alla disobbedienza sociale.
Qua avviene il decesso. Marx esce dal libro e muore.
Le conquiste sociali muoiono, ed i voucher diventano il timbro della sconfitta.
Quando i partiti di ispirazione socialista vanno al potere, Moretti smette di fare i girotondi, (oh che bel castello, marcondirodirondello), i sindacalisti si accasano a Bruxelles, i segretari di partito alla presidenza della Camera, i dispensatori orali di diritti fanno le minoranze nei partiti di governo. Ed i lavoratori? ...Prrrr. (Cito Alberto Sordi nel film “I vitelloni”).
Perché è evidente che il “non sentirsi tanto bene” di Fausto Bertinotti, ricurvo in considerazioni sul fallimento di una epopea politica incapace di ostacolare l’avanzata di un capitalismo perverso e di un capitale che ha ceduto le sue regole alla finanza, è ammissione di una sconfitta: personale, storica, politica.
Quando questo è emerso, dopo articolati e puntuali ragionamenti, attraverso anche le sollecitazioni scaturite dalle domande degli studenti, la mia insofferenza si è fatta curiosità e rispetto.
L’avversione ideologica al capitale, la retorica proletaria avversa al sistema dei padroni vale finché il proletario non conosce il benessere.
Oggi tutto diventa un’attenta analisi sulla finanza globale.
Altri argomenti, decisamente più attuali, necessariamente da approfondire: perché la valutazione è diventata, per Fausto Bertinotti, non già l’opposizione al capitale, ma la sconfitta, nelle moderne democrazie elette e rappresentative, della capacità di governare la degenerazione del capitale nel potere finanziario globale.
C’è quindi un relativismo interpretativo che, perdendo l’assolutezza del dogma Marxista, riconosce il capitalismo come un male necessario e ne valuta i processi indotti di disgregazione sociale e culturale.
Degenerazione figlia, da un lato, dell’accresciuta ricchezza di pochi a scapito dei molti e dall’altro della assenza di una Politica capace di trovare regole e valori che ne ostacolino lo sviluppo.
Da qui l’osservazione sulla morte del partito come possibilità, come camera di formazione etica, come opportunità di rappresentanza. Una devastazione politica e morale che ci proietta verso l’oligarchia della finanza.
L’(In)Fausto, ci indica da dove ripartire: dai movimenti, ovvero da forme di aggregazione, di comunione di bisogni e di intenti che si traducano, dal basso, in gruppi organizzati capaci di esprimersi in forme adeguate ai tempi.
E così sia, in un laico rendere grazie.
La ripetuta presenza di Francesco, Papa, nelle parole di Fausto Bertinotti appare alla fine come il miraggio che diventa realtà. E’ come se la storia, che si scrive nei tempi che superano quelli di noi mortali, avesse fatto germogliare il seme di “quell’uomo venuto di lontano” di Woiitiliana memoria.
La massima autorità religiosa cristiana che traduce i bisogni di un marxista.
Oggi posso solo dire: io c’ero.

 

 

Sabato, 21 Maggio, 2016 - 00:08

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