Dopo cento anni
Dopo cento anni, è nostro diritto,e non solo dovere, poter ricordare ciò che è stato, per non abbandonare all'oblio la memoria. Questa targa ricorda studenti, come me e come molti, che amavano i mondi greco e latino, come me e come molti, che godevano della propria vita, con gioie e dispiaceri, come me e come molti, figli d'Enea, che antepose un volere superiore alla propria libertà, figli d’Enea, partirono per non fare ritorno.
A me non piace pensare al loro sacrificio come ad un atto eroico e virile, come quello di Achille che, conscio di partire per una guerra che lo avrebbe depredato della vita, decise di immolarsi per fama e gloria future; preferisco, invece, immaginare questi miei coetanei, inesperti, non avvezzi alla guerra, matricole della vita, che tremano, soffrono, piangono, si infondono coraggio vicendevolmente con flebili sussurri, spalancano occhi allucinati davanti ad una granata nemica gettata contro di loro, e, nell'arco di un instante, saldano il conto della propria esistenza, senza nome né coraggio. A noi rimane solo una tenue nostalgia di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
Sono le piccole tragedie a confezionare un grande dramma.
Dopo cento anni, il catastrofico scempio della Grande Guerra è un'immagine sfocata, lontana, distante, remota per i nostri occhi: è la reminiscenza di una vita che non abbiamo vissuto ma è presente in noi, nelle nostre mani e nel nostro sangue, seppur labile, latente, ma pulsante. Forse, tutto ciò è eredità della concezione greca della colpa, che veniva tramandata di padre in figlio e doveva, inesorabile, essere scontata dalle future generazioni: noi non dobbiamo scontare questa colpa, di essere caduti nelle tentazioni e nei tranelli di Ares, dio della guerra, ma dobbiamo, altresì, diventarne coscienti e impedire un suo ripetersi nell'avvicendarsi delle stagioni umane.
Dopo cento anni, uno ad uno, gli studenti del Liceo Colonna che caddero per Noi, per la nostra Libertà, rappresentano il vero volto della guerra, che è negazione della vita ed estuario della violenza cruda e spietata.
Essi persero tutto, ci garantirono tanto, non sono più nulla.
Si immolarono, sacrificandosi, per la vita, attraverso la morte.
Se ora ci riteniamo una nazione unita, completa, piena, è anche grazie a ogni singolo caduto, è anche grazie ad ogni singolo studente del Colonna. Ognuno con una storia, una morte, una speranza, un destino differenti.
Tutti hanno combattuto, molti sono morti, nessuno deve essere dimenticato. Uno fra tutti: Pierantonio Colazzo.
Se fosse toccato a me?
Se al posto di quel giovane fucilato, mentre tentava un assalto alla linea nemica, ci fossi stato io?
Se nella trincea, morto per assideramento o per le ferite riportate in battaglia, ci fossi stato io?
Non una guerra del passato, ma un monito per il futuro. Mai più mattatoi di sangue in cui mandare a morire gli uomini: la guerra non è soluzione di dissidi ma dissoluzione dell'umanità.
Dopo cento anni, nessun caduto è morto, ma vive: nella nostra memoria, nel nostro ricordo, nella nostra coscienza, nel nostro animo.
Disse una volta John Fitzgerald Kennedy, un grande statista, ma, soprattutto, un grandissimo uomo: "L'umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità."
Emanuele Guido, IV B Liceo Classico “P. Colonna”
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