L'encomiabile alchimia del pensiero di Mario Signore

Mario Signore, insigne filosofo dell'Università del Salento, amava gli spazi pubblici: laici o religiosi che fossero, avendo il suo pensiero il marchio di una referenzialità sempre aperta all'altro, al mondo in comune, alla polis. Nell'orazione funebre, tenuta il 4 marzo del 1969, in onore del maestro Karl Jaspers, Hannah Arendt scrive:<<Gli uomini terreni hanno bisogno della corporeità (Leiblichkeit)>>. Coloro che hanno letto cioè i numerosi saggi del prof. Signore o ne hanno, anche indirettamente, sentito parlare, hanno bisogno della certezza che dietro quei libri o i numerosi interventi da lui tenuti in innumerevoli convegni ci sia stato un pensatore in carne ed ossa. E le sue opere, in senso lato, sono il segno di un modo unico, da parte sua, di essere al mondo, uomo tra gli uomini. Egli aveva esemplificato con il suo alto profilo morale ed intellettuale l'esser uomo dando corpo e voce ad un concetto che altrimenti sarebbe astratto se non vuoto. Coniugando ed armonizzando nel suo lungo percorso filosofico ragione, fede, libertà ed una straordinaria generosità nei confronti degli altri. Una generosità che Signore mostrava, contro l'asfittismo e l'idiotismo, spesso filologico, delle <<scuole>> filosofiche di oggi, nel saper recuperare, in profondissime ed originali letture, le <<perle>> nascoste nel pensiero anche di filosofi molto discussi. Come Giovanni Gentile del quale recuperava la definizione del pensiero come <<travaglio che consuma anima e corpo>> e l'autotrascendimento dello spirito verso nuove e più complesse determinazioni morali della realtà. Già, perché per lui la moralità era la forma fondamentale dell'esperienza umana così che in lui vita e pensiero si reciprocavano, costituendo un nesso indissolubile. Il <<luogo>> del filosofare non era per Signore, come invece lo era per Platone, quello dell'esilio e neanche quello escludente dell'anima richiusa in sé stessa. Egli aveva fatta sua la massima kantiana del <<pensiero allargato>>: che non solo tiene conto del punto di vista degli altri, a lui contemporanei, ma immagina anche, profeticamente, quale sarebbe il punto di vista degli uomini del futuro. Se la sua morte, per la fragilità dell'umano, non può purtroppo più restituirci la sua voce, i suoi gesti, il suo viso sempre pronto a donare un sorriso ai suoi interlocutori, il suo ricordo e suoi libri, cristalli di vita vissuta, possono tuttavia rendercelo presente anche solo come interlocutore privilegiato e silenzioso di quello che i Greci chiamavano <<dialogo tra sé e sé stessi>> (eme emauto). Del resto,<<la memoria si realizza, intrattenendoci con il defunto in compagnia del quale si avvia un dialogo che di nuovo può risuonare (klingen) nel mondo>>, afferma ancora la Arendt.

La disposizione a dialogare intimamente con Mario Signore, del resto, è resa possibile da una straordinaria peculiarità dei suoi pensieri che, come lessinghiani fermenta cognitionis, più che comunicare conoscenze, miravano socraticamente a stimolare gli altri a pensare da sé.

Nell'ultima passeggiata fatta insieme a Santa Caterina, nel gennaio scorso, prima che quel male, manifestatosi senza preavviso, lo strappasse al me, suo allievo, dopo aver fatto un salto alla cantina sociale di Nardò da cui partimmo con due damigiane di Lacrima Christi, una delle quali regalatami con generosità, discutemmo con vivacità, aiutati anche da una bellissima giornata di sole e da un mare cristallino, della pubblicazione dei Quaderni neri (Schwarze Heften) del filosofo tedesco Martin Heidegger in cui questo, in preda al delirio di un pensiero costretto dentro le maglie ferree dell'ideologia nazionalsocialista, legava il destino dell'Essere all'autoannientamento (Selbstvernichtung) degli Ebrei. La discussione si interruppe, ahimè, a causa di una sopravvenuta stanchezza fisica. Lo lasciai a casa sua poco dopo con la promessa che avremmo continuato la discussione il sabato successivo. Una promessa allora non mantenuta per cause non dipendenti da noi. Andandolo a trovare al cimitero questi giorni, ho voluto ripagarlo di quella disponibilità mostratami mesi addietro, cercando, per quanto fosse possibile, di immaginare come avrebbe risposto alla domanda:<<Si può essere al tempo stesso un buon filosofo ed un uomo meschino?>>. No!, avrebbe sicuramente risposto se vita e pensiero, teoria e prassi devono potersi fecondare a vicenda. Ebbene, in lui l'amalgama tra umanità ed impegno scientifico, tra generosità e indipendenza di giudizio, tra azione pubblica e coerenza morale, tra riflessione filosofica e testimonianza cristiana era perfettamente riuscito.

A noi suoi allievi ed amici non ha lasciato un testamento scritto. Se, come scrive il poeta partigiano francese René Char, <<notre heritage n'est précédé d'aucun testament>> (<<la nostra eredità non è preceduta da nessun testamento>>), l'eredità allora che il prof. Signore ci lascia non è  un insieme scritto di prescrizioni o regole d'uso per benpensanti ma l'invito ad esercitare la nostra facoltà di pensare e giudicare con apertura, sobrietà, testimonianza e generosità. E' di questa responsabilità che io, in quanto suo allievo, umilmente voglio farmi carico.

Giorgio Rizzo è docente di filosofia teoretica all'Università del Salento

 

Mercoledì, 10 Giugno, 2015 - 00:07