Dieci minuti a mezzogiorno
Era un lunedì e come tutti i lunedì triste e pesante. Non ricordo quello che dovevo fare ma ricordo bene di aver finito prima. Mancavano 10 minuti a mezzogiorno quando incrociai con lo sguardo, un invitante piatto pieno di ogni ben di Dio e sopra era scritto “aperitivo speciale”. Non ebbi dubbi, entrai. Entrai in quel bar tra un chiacchiericcio di persone che ordinavano, chiedevano il conto o parlavano del più e del meno. Trovai in fondo un tavolino che sembrava lasciato apposta per me. Il tempo di ordinare quella “specialità” ed ero già immerso nella programmazione del pomeriggio e nella composizione di non so cosa.
Ti trovo bene - mi disse – solo qualche chilo in più e qualche capello nero in meno. – Mi sembra normale – le risposi e poi continuando – anch’io ti trovo bene -. – Mi sembra il minimo – rispose lei. E intanto dentro di me s’erano messi in moto tutti i meccanismi per cercare di ricordare chi mai fosse senza farglielo notare.
Prima o poi nel discorso avrei catturato di sicuro qualche elemento in più che m’avrebbe fatto tornare alla mente ogni cosa. Invece niente, e lei continuava a parlare convinta e contenta d’avermi incontrato. Mi rovesciò in pochissimo tempo in sacco di cose ed io ero irrimediabilmente entrato nella parte di uno che la conosceva.
Mi parlò del suo lavoro, dei suoi figli, della loro vita, ma soprattutto mi parlò di sua sorella. Era nel campo della “ricerca” una sorella molto nota e di successo, sempre in viaggio per lavoro, sposata con un uomo meraviglioso ed anche importante.
Riuscii a non destare alcun sospetto anche perché, fortunatamente, parlava sempre lei ed io la lasciavo andare nei suoi racconti strapieni di gioia e di entusiasmo. Insomma non ebbi il coraggio di confessarle che aveva sbagliato persona o peggio che non riuscivo a ricordare.
M’ero tormentato per tutto il tempo la memoria per cercare di ricordare un qualcosa, ma quando mi parlò dell’Università di Bologna e di un corso di laurea che non ricordo più, non ebbi dubbi. Non ero io. Non ero mai stato a Bologna e non avevo sfortunatamente frequentato alcuna Università.
Finì di parlare quando suo figlio, una diecina d’anni e tanti riccioli biondi che si affacciavano dal berretto, la tirò via. Un abraccio, un arrivederci, la porta che si chiude dietro di lei ed io impietrito lì davanti a quel bicchiere color fucsia ancora pieno. Una cosa avevo capito: m’aveva scambiato per un “ex” di sua sorella. L’avevo capito da alcune frasi colme ancora di rabbia e di risentimento, dette per ferire. M’aveva più volte sottolineato che sua sorella era felice, straordinariamente felice.
Chissà la storia – pensai – e malgrado non centrassi niente, malgrado non avessi alcuna colpa ero rimasto male, sino a sentirmi in colpa.
Avevo appena assaggiato quell’aperitivo speciale, quando mi sentì dire: – ti trovo bene. Alzai lo sguardo lentamente, avevo quasi paura di guardare in faccia chi fosse.
Ma poi mi tranquillizzai: La conoscevo.
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