L'estrema bellezza
Accidenti a noi e a quella maledetta ricerca di un “posto particolare, di un posto caratteristico”. Fu così che ci trovammo sul “cucuzzolo” di una montagna dopo una salita impervia e ripida che solo l’abilità e il coraggio di chi guidava e che non ero io, riuscì a percorrere. In un paesino di una ventina di abitanti quasi tutti anziani, immerso in un centinaio di case sparse e per la maggior parte vuote. Venivamo da una temperatura quasi estiva, maniche corte e camicie aperte, ma appena scesi dalla macchina una raffica di vento gelido ci colpì all’improvviso facendoci ripiombare in un inverno freddo e cupo. C’era una specie di osteria nella piazza principale, piccola e poco illuminata. E proprio lì ci infilammo infreddoliti e anche un po’ impauriti, facendoci largo tra le nuvole.
Per la verità durante il tragitto che ci portava sul cucuzzolo, avevamo notato qualcosa di “particolare” e forse anche di “caratteristico”. Per esempio avevamo incrociato gente che scendeva dalla montagna con i roller a velocità folle. “Roulotte” parcheggiate ai bordi di precipizi profondi centinaia di metri. Amanti del “Bungee Jumping” lanciarsi da pendii altissimi. Fiumi che scorrevano a poche decine di metri da noi e gente che sfidava lo scorrere vertiginoso dell’acqua in un rafting a dir poco impressionante. Insomma mentre salivamo su quel cucuzzolo di cose normali ne vedemmo ben poche.
Ma riprendiamo da dove eravamo rimasti. Dentro quella specie di “osteria” almeno si stava al caldo un po’ per il camino acceso, un po’ per il buon vino nero che scorreva nei calici. Gente simpatica e soprattutto allegra a cui ci unimmo più per necessità che per volontà. L’oste che ci fece accomodare non finiva più di parlare e tra una frase e l’altra lo sentimmo dire: questo non è un posto per gente normale. Ovviamente lo disse nel senso più positivo del termine. Ci trovammo così tra gente folle, gente che amava il brivido, la velocità, il pericolo.
Piloti, paracadutisti, reporter di guerra, scienziati, artisti, appassionati di sport estremi, di nazionalità e paesi diversi. Ognuno che raccontava la sua storia, la sua vita, il suo futuro. Quando arrivò il mio turno, per non essere di meno, mi presentai, dissi il mio paese di provenienza e quando arrivai a descrivere il mio “lavoro” mi presentai come un “poeta e racconta storie” a secondo dell’umore e forse anche della temperatura. Meno male, a tutta quella gente strana con codini, barba, orecchini e tatuaggi, stavo simpatico. Il che non mi dispiaceva. Sperai che non mi chiedessero qualche brano del mio repertorio ma dopo un attimo lo fecero. Il mio imbarazzo fu grande e anche visibile, rosso in viso recitai una breve poesia. La recitai in un silenzio surreale. Non so se la capirono o meno e non so neanche se fu l’effetto del vino o perché era piaciuta davvero, fatto sta che partì l’applauso e non solo, cominciarono a battere le mani sul tavolo e i piedi per terra, chiedendomi anzi urlandomi di recitarne un’altra. Insomma mi chiesero il bis. Io non mi lasciai pregare e furono applausi convinti e prolungati. Mi immersi con tutte le mie forze in quei sapori di formaggi, salumi e pietanze del posto, una più buona dell’altra. Di tanto in tanto alzavo il bicchiere e inventavo un brindisi da “vero poeta” ed era sempre un successo. Il mio essere “estremo” fu quello di sentirmi uno di loro, un loro “collega”. Per fortuna non ero io a guidare in quella via stretta e tortuosa che ci portava a valle. Non incrociammo nessuna altra macchina per tutto il percorso. Arrivammo al paese dove stavamo trascorrendo quella vacanza di mezza estate che era tardissimo. Svegliammo pecore, maiali e cani, poi il tempo di infilarsi nel letto e prendere immediatamente sonno. Ci tornerei volentieri in quel posto malgrado quei primi momenti difficili, per sentirmi di nuovo “uno di loro”. Vi starete certamente chiedendo cosa centrassi io in quel contesto. Io che di “estremo” non ho mai fatto nulla.
Vi dirò: ho scritto solo un po’ di racconti e un po’ di poesie, che per me è cosa di “estrema bellezza”.
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