Le scarpe di para

Quella sera mi capitò per caso, di scartare dei ricordi, tornare indietro ai tempi in cui non avevamo nulla ed eravamo felici.  Un maglione ci durava una vita. I pantaloni si rammendavano, si riparavano fin che si poteva,  poi quella stoffa veniva utilizzata per altro, conservata quasi mai buttata. Se vado indietro con la memoria, ricordo l’unica stanza da letto in cui dormiva tutta la mia famiglia. Io nella culla che era già fuori misura e fuori età tanto che, in maniera molto artigianale, era stata allungata per poter far trovare alle mie gambe stese l’appoggio fuori dalla culla.
Dal freddo ci riparava la “brascera de focu” e noi tutti intorno a rubare un po’ di caldo, il letto lo riscaldava una bottiglia d’acqua che se non chiusa bene finiva per bagnarlo.  Del “bagno” poi,  meglio non parlarne. Una “capasa” di terracotta che si riempiva con l’acqua della fontana più vicina, un “bacile” poggiato su un telaio di ferro in cui si versava l’acqua prelevata con una “vucala” dalla capasa. Uno specchio annerito in cui ci si specchiava a volte senza neanche riconoscersi per come deformava le immagini.  Per il resto, vi risparmio il racconto.  Saranno stati circa 50 metri e noi eravamo in cinque . Qualche altro metro di giardino, con una gabbia aperta e un “casaluru” che andava e veniva quando gli pareva.  Non abbiamo mai avvertito la sensazione di stare troppo stretti.                           Quella casa non era neanche nostra, era di una nostra parente e non so se pagavamo o meno l’affitto. Un po’ d’umidità qua e là e mio padre sempre alle prese con le domande all’INA-CASA. Non era facile, erano tempi di clientele sfrenate, di conoscenze, di democrazia cristiana e mio padre era “comunista” tesserato. La corruzione e il clientelismo dilagava, era un metodo, un sistema.  Dopo una decina di anni e quando ormai aveva perso le speranze, a mio padre fu assegnato un terzo piano senza ascensore dell’INA-CASA. Quando ci trasferimmo nella nuova abitazione, cogliemmo l’occasione per comprare qualche mobile nuovo di un “certo valore”.  Lasciammo lo spazio libero e organizzammo posti a sedere per la TV che da lì a qualche anno sarebbe arrivata.
Per qualche capo importante per qualche ricorrenza  c’era “Filippo Serra” alla via di San Paolo, qualche maglione da confezionare, lo si poteva fare dalla Signora “MARTI “alla  via dell’orologio e se il maglione lo si voleva acquistare già bello e pronto c’era sempre ALBANESE di fianco alla Chiesa Madre. Per ogni tipo di accessorio, nulla di meglio, SCARPA, alla via dell’orologio.
Per le scarpe VERGINE, vicino al comune, con la prestigiosa marca VARESE.  E da lì acquistammo appena fu possibile per i miei, un paio di scarpe di para color cuoio. Colpa del pallone di cuoio allacciato che scalciavamo per strada e più ancora colpa dei miei tiri di punta, non passò molto tempo e si aprirono davanti.  Fu una cosa improvvisa, e poi era domenica, dovevo andare in Chiesa e con quelle scarpe mi sembrava di camminare sopra il cielo.  Le riparai alla meglio, con degli spilli, poi misi il completo della domenica ed andai a Messa con qualche minuto di ritardo e sotto lo sguardo impietoso di Don Santo, ma con quella leggerezza che quelle scarpe di para mi davano e che da un momento all’altro avevo paura si aprissero. La macchina non aveva ancora preso il sopravvento, le strade erano sempre piene di gente, le osterie sparse un po’ ovunque.                                                                          
Quell’inverno trovai un’altra occupazione. Quando avevo tempo libero, passavo dalla Chiesa  prendevo un pacco di giornalini di JACOVITTI e andavo a venderli porta a porta per tutto il Rione Italia. L’offerta che ognuno dava per il giornalino, serviva per la nuova Chiesa in costruzione. Spero di non finire all’inferno, ma quasi sempre approfittavo dell’occasione per scambiare i giornalini di JACOVITTI nuovi con i miei già letti, che comunque riuscivo a piazzare. Altri giornalini invece li compravo dall’edicola di GENNARO, mi piaceva quel profumo di stampa fresca che avevano appena arrivati. Non mi mancò mai BLEK MACIGNO, né CAPITAN MIKI , un po’ meno TEX WILLER. La casa nuova mi dava nuovi spazi e nuove opportunità, per cui mi avventurai in una raccolta di giornalini, figurine, cartoline e francobolli. Divennero ben presto la mia mania.                                                                                                               
Abbiamo percorso centinaia di chilometri a piedi, attraversato ogni angolo anche il più nascosto del nostro paese, siamo stati per ore col naso in su a guardare gli aquiloni, ad osservare la luna. Abbiamo sentito il canto del gallo del vicino di casa, l’odore delle stalle, il profumo del latte appena munto. Siamo cresciuti per le strade di terra e sassi, ne abbiamo ancora tutti i segni sulle nostre gambe.                                      
 Siamo cresciuti cantando e fischiettando,  giocando a “mazzarieddhru “, ” tuddhri” e campana.  Cresciuti con formaggini e marmellata.   Colpa del latino che ancora allora si studiava, o di  quei grappoli d’uva appena rubati, fatto sta  che avevo srotolato troppi ricordi,  e quando finalmente tornai ai giorni nostri, fu meraviglia, fu sorpresa, fu attesa.
L’attesa di un prossimo momento
o di un prossimo evento. 
Di una prossima volta per ricordare,
di una prossima volta per raccontare,
raccontare qualcosa da “conservare”.

Sabato, 8 Febbraio, 2014 - 00:05