U Nunnu Pippi Cuja e nui de 'rretu allu Rattulu

Caro Dino, ogni anno a Dicembre, nel periodo natalizio, ricordo piacevolmente una serata piovosa , nella quale fummo catturati da un racconto di vita vissuta da "u Nunnu Pippi Cuja". Questo galatinese doc, era l'ultimo figlio di una numerosa famiglia contadina, povera gente che ogni mattina all'alba iniziava una lunga giornata per la sopravvivenza, lavorando la terra. Quella sera, noi ragazzini del "Rattulo", ci rifugiammo nel forno vicino casa, per evitare di bagnarci e seduti vicino alla bocca del forno trovammo "nunnu Pippi" e Aldo, il fornaio, i quali aspettavano che si cuocessero delle patate appena coperte sotto la cenere calda.
Nonostante la sua età, nunnu Pippi,  iniziò a scherzare e a burlarci, come era sua abitudine fare, in barba ai suoi 75 anni; era una persona sempre sorridente e con la battuta pronta, ma quella sera ci stupì raccontandoci una delle giornate più dura della sua vita. Una gelida mattina del Gennaio 1950 uscì ansioso dirigendosi a piedi verso i boschi di Ugento, per  raccogliere dei funghi o dei "pampasciuni" da poter rivendere al mercato settimanale del giovedì. A casa lo attendeva la moglie, madre di due bambini e in attesa di un terzo; a dire il vero anche il padrone di casa in attesa dei mesi d'affitto arretrati.
Lui non lavorava da mesi e lavoro non ce n'era, la miseria era veramente tanta e molti suoi compaesani preferirono emigrare nei Paesi del Nord Europa. Erano veramente tempi molto duri, quasi inenarrabili. Arrivato nella macchia di Ugento non riuscì a raccogliere nulla in quanto sorpreso da un terribile temporale che lo costrinse a rifugiarsi in una rientranza della pietra calcarea. All'imbrunire decise di ritornare nonostante piovesse a dirotto. Le strade erano petrose e buie, "nu passava mancu nu sciarabà"; dopo qualche chilometro vide una lanterna accesa da un vecchio casolare davanti al quale vi erano alcuni carri senza cavalli. Davanti al portone bussò sperando di trovare rifugio e riparo da quell'acqua ormai inarrestabile. Dopo alcuni minuti aprì una vecchia signora in nero, con le maniche arrotolate e le mani bagnate. Probabilmente era la titolare dell'opificio, all'interno c'era un gran movimento di lavoratori.
Nunnu Pippi aveva bussato al portone di un frantoio e, alla richiesta di poter sostare all'interno per potersi asciugare e magari attendere che spiovesse, fu accolto come un figlio. Difatti la signora lo invitò a togliersi la giacca e sedersi davanti al fuoco del camino. Sul fuoco c'era una grande casseruola fumante, da dove la signora, con passo svelto, spesso prendeva dell'acqua bollente per le sue faccende. "Puru io e la giacchetta fumavàme".
Mentre fuori stava quasi smettendo di piovere la signora portò a nunnu Pippi, un piatto nel quale versò mezzo "pignatieddru" d'olio (tipico contenitore usato nei "trappiti" come unità di misura, equivalente a mezzo chilo di olio) ancora caldo e un pezzo di panetto di grano. Nonostante il pane fosse raffermo era meraviglioso inzupparlo in quell'olio, il gusto era sublime tanto da descrivere quell'umile pranzetto: "tanta a fame ca dru stozzo de pane cu l'oiu... nu n'aggiu mai chiui mangiatu pane cu si bonu!"
Noi eravamo quasi trasportati dalla sua descrizione da lasciarci estasiati, lui intanto aveva gli occhi lucidi e quasi per cambiar discorso iniziò a togliere le patate da sotto la cenere calda: "Na...! e patate su bone, su bone! pija u sale fino!". Iniziammo a pulire le patate, scottandoci le dita.Tra un sorriso e uno sfottò, anch'io... non ho mai più mangiato patate così buone!

Venerdì, 27 Dicembre, 2013 - 00:07