Le percussioni di Somieh Murigu alla mostra "Io Sono" di Luisa Manazzi Moretti
Nell'ambito della mostra fotografica "Io Sono" di Luisa Manazzi Moretti, ospitata a Lecce presso la galleria "Le Maniche" dei Teatini, Arci Lecce organizza lunedì 27 agosto, a partire dalle 17.00, una serata speciale con il progetto "living library" - con alcuni beneficiari dei progetti Sprar e Cas - e musica tradizionale africana con il musicista keniota Somieh Murigu.
Un appuntamento, nato in collaborazione con il comune di Lecce, per celebrare la chiusura della personale fotografica prodotta da Fondazione Città della Pace per i Bambini Basilicata, Cooperativa Sociale il Sicomoro e Arci Basilicata.
La "living library" nasce come esperienza di dialogo interculturale per poter conoscere realtà di vita diverse dalla propria. Consente di sperimentare sulla propria pelle il superamento del pregiudizio, contribuendo a creare una cultura più aperta e disponibile al dialogo che non discrimini le persone in base alla loro origine etnica, alla religione, alle condizioni personali, al genere, all'orientamento sessuale o alla finzione di disabilità. Il percorso sarà composto da più momenti di "lettura" durante i quali i partecipanti potranno confrontarsi direttamente con la persona che sta dietro al "libro", porre domande, capire, conoscere.
Dalle 19.00, saranno i tamburi e le percussioni di Somieh Murigu a trascinare il pubblico nelle musiche tradizionali africane, accompagnato sul palco da un gruppo di ballerine keniane che proporranno le danze tipiche dei paesi di origine, facendone assaporare le atmosfere, le musicalità e il ritmo. La mostra, ospitata presso i Teatini dal 12 luglio scorso, ha esordito a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019. Un progetto fotografico, realizzato durante la prima metà del 2017, che ha coinvolto i rifugiati accolti nei progetti Sprar della Basilicata promossi dalla Provincia di Potenza e dal Comune di Matera e gestiti da Fondazione Città della Pace, Cooperativa Sociale Il Sicomoro ed Arci Basilicata; sono persone, adesso residenti in Basilicata, che provengono da Afghanistan, Pakistan, Siria, Nepal, Libia, Gambia, Nigeria, Senegal, Egitto, Congo, Mali, Costa d’Avorio, Eritrea ed Etiopia. Il progetto è composto da venti ritratti fotografici di grandi dimensioni di rifugiati e richiedenti asilo, ai quali si affiancano altrettanti pannelli con i testi delle loro storie raccolti dall’artista durante la sua recente permanenza in Basilicata. La mostra rimuove dalle persone immortalate l'etichetta totalizzante e stereotipata del “migrante” per restituire a ciascuna persona la possibilità di rivendicare l'unicità della propria esperienza di vita.
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