Venti di guerra politica

Ormai, in Italia, venti di guerra politica soffiano impetuosi al pari del rullio di tamburi, tenendo, quotidianamente, sotto pressione le paure e logorando, a vista, l’assieme del sistema economico, già messo in crisi da possibili iniziative discutibili, da scandali finanziari a catena, da profitti aziendali in calo, dal dissesto dei conti pubblici dello Stato, fattori tutti che mettono a dura prova la fiducia e la credibilità nelle istituzioni. Una voglia frettolosa per la sola conquista del potere fine a se stesso, che, pur partendo da reali pericoli, viene praticata in maniera discutibile in quanto annuncia ogni giorno un conflitto inevitabile tra esponenti partitici. Ma, in questo trambusto, quello che più stona, è il notare che tutti continuano a sorridere, pervasi da un ottimismo sfacciato e auto-referenziale. Si scorda pure l’aureo avvertimento che più si sta in alto nei vertici statuali e più si restringe l’area delle libertà personali, le quali, in molte occasioni, pretendono mozzata la lingua rispetto alla smisurata loquacità consentita ad ogni semplice cittadino. Spesso anche i “pensieri lunghi” vengono rattrappiti dalla memoria corta che, particolarmente in politica, arte del possibile ma anche del continuo cambiamento, proviene dalla variabilità degli schieramenti e dei tempi. Perciò non vi è eccessiva meraviglia quando, su problemi essenziali del vivere democratico, mutano le posizioni, divenendo perfino opposte a quelle sostenute in passato. Sconcerta, però, l’amnesia di chi, sospinto dalla polemica ad ogni costo, distorce, con facilismo di convenienza, la realtà dei fatti, consacrata in documenti parlanti.
Aspetto che, con altri ancora, dovrebbe correggere giovanili inclinazioni di avanspettacolo per riportarlo alla misura giusta delle funzioni pubbliche legittimate dalla investitura. I singoli protagonisti si sentano chiamati a compiere un esame di coscienza e a meglio sottolineare le luci e le ombre del proprio operato compiuto per ricavare umilmente aggiuntive riflessioni, anche postume, che possano tramutarsi in cambiamenti di rotta e che si rendano conto che stanno esercitando, se ne sono capaci,  il ruolo di interpreti in chiave moderna dei bisogni sociali che affliggono la gente e che, al più presto e senza esitazione, vanno risolti.
Accorgersi che viviamo in una situazione di diffuso malessere, che si fa pure finta non sorprenda più di tanto, e che vi sono strati sociali in cui non vi è disponibilità del minimo necessario per la sopravvivenza e la crisi che si fa sempre più dura, comporta un aumento di suicidi.  La carenza di servizi sociali, l’inadeguatezza delle pensioni minime, l’inadeguata disponibilità di alloggi a basso canone, rappresentano, ancora oggi, persistenza di condizioni di povertà, talvolta di miseria ove manca il minimo necessario per sostenersi. Uno Stato, un’amministrazione comunale, organizzazioni che coordinano politicamente una società per raggiungere fini specifici, tutelano, riconoscono, nei limiti della propria funzione politica, o sopprimono ed annullano, con svariate pratiche artificiose, i diritti naturali dell’uomo? La povertà, ancora oggi, esiste con un popolo che dovrebbe agire nella solidarietà della sua attività ma che vaga, forse inutilmente, alla ricerca di partiti e correnti politiche che si avvicinino ai suoi bisogni, che operino in conseguenza, che siano in grado di lottare, cadendo o vincendo, secondo i momenti storici delle esigenze del divenire umano. Cercare, quindi, di superare chi ha già governato, nel bene e nel male, per riscattare qualsiasi colpa, compresa quella di omissione, e non certo per continuare ad operare con il solo fine dell’ arrembaggio al potere. (Giuseppe D’Oria) 

 

 

Martedì, 10 Aprile, 2018 - 00:06