Nel 1976 gli avevano trasfuso sangue infetto, oggi il ministero dovrà pagargli 240000 euro
Dopo una battaglia durata quasi cinque anni, contro la malattia e contro lo Stato, alla fine un cittadino salentino, assistito dall’avvocato Tommaso Onesimo, ce l'ha fatta e sarà risarcito con 240 mila euro per aver contratto l'epatite durante una trasfusione di sangue praticatagli nel 1976 durante un ricovero presso l'ospedale “Panico” di Tricase. Dopo una lunga vertenza la Corte di Appello di Lecce, con sentenza emessa il 2 ottobre scorso, ha condannato il Ministero della Salute a pagare 240 mila euro. È stato quindi di nuovo applicato il principio, già adottato in diversi tribunali, secondo il quale nei casi di contagi per trasfusione di sangue infetto la responsabilità è del Ministero.
"La novità della questione -spiega l'avvocato Onesimo- riguarda il fatto che in primo grado il Tribunale di Lecce aveva rigettato la domanda di risarcimento, sostenendo che all’epoca del contagio, nel 1976, non poteva ravvisarsi in capo al Ministero alcuna colpa nella causazione del danno in quanto, riteneva il Tribunale, il virus dell’epatite C all’epoca non era noto alla comunità scientifica.
I giudici della Corte di Appello, però, hanno accolto i motivi di gravame ritenendo, al contrario di quanto deciso dal giudice di primo grado, che 'era già ben noto sin dalla fine degli anni ’60-inizi anni ’70, il rischio di trasmissione di epatite virale e da tale epoca sussistevano obblighi normativi in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto'. Sulla scorta di tali principi, la Corte di Appello ha ritenuto fondati i motivi di appello ed ha riformato integralmente la sentenza di primo grado 'per aver -sottolinea la Corte- erroneamente ritenuto che la responsabilità del Ministero della Salute può ipotizzarsi solo per le trasfusioni avvenute successivamente all’anno 1978'".
Ha quindi accolto le richieste formulate da Onesimo condannando il Ministero al risarcimento dei danni quantificati in 240 mila euro. "La Corte di Appello di Lecce ha, dunque -conclude il legale galatinese- correttamente applicato i principi ribaditi anche recentemente dalla Corte di Cassazione (sentenza n.19965 del 30.08.2013) condannando l’ente poiché doveva esercitare attivamente il dovere di controllo e vigilanza – secondo le tecniche al tempo note – sulla sicurezza del sangue e dei suoi derivati, in modo da ridurre il rischio infezioni post-trasfusionali".
La sentenza è destinata ad avere notevoli conseguenze per tutti coloro che hanno subiti dei danni in conseguenza di emotrasfusioni praticate anche prima il 1978.
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