'Mi sa che fuori è primavera', Concita De Gregorio a Sternatia

Arriva il terzo, attesissimo appuntamento della  rassegna “Portami a leggere”. Dopo Gaetano e Claudia Di Gregorio, Maarten Van Aalderen, oggi 28 luglio alle ore 21, nel chiostro dei domenicani a Sternatia è la volta di Concita De Gregorio, che presenta il suo nuovo libro “Mi sa che fuori è primavera” edito da Feltrinelli. La nota giornalista, già alla direzione de L’Unità ed editorialista di Repubblica,  prende spunto dalla drammatica storia delle due gemelline tedesche scomparse nel nulla nel gennaio 2011, lasciate chissà dove da un padre suicida, per concentrare il suo racconto  sulla storia di una madre: Irina Lucidi, donna coraggiosa e fragile. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un thriller psicologico, Irina, madre distrutta dal dolore,  cerca la forze per risorgere, per trovare la luce partendo proprio da quel fondo oscuro. Il fatto di cronaca, passa in secondo piano, è la storia di una madre privata  atrocemente delle  sue figlie, il  tema portante su cui si incentra il libro; una storia vera, toccante, di dolore, di speranza e di rinascita.  Irina ora vive all'estero, ha una nuova vita e si impegna nella fondazione per i bambini scomparsi che ha promosso.
Il festival del libro è organizzato dal comune di Sternatia in collaborazione con l’associazione culturale Up.
Prossimi appuntamenti, il 6 agosto con Stefano Benni e il suo ultimo libro “Cari mostri”, il 7 settembre con Erri De Luca. Lo scrittore, torna nel Salento per riprendere la conversazione iniziata nel 2013 e promossa dall’Associazione UP: dagli ulivi protagonisti del docufilm girato anche in Puglia “Alberi che camminano” all’immigrazione, tema centrale del videoclip “Solo Andata” del Canzoniere Grecanico Salentino. Non mancherà la “Parola contraria” (Feltrinelli) un pamphlet sulla libertà di parola. Sarà lui a chiudere la rassegna “Portami a leggere.”

“MI SA CHE FUORI E’ PRIMAVERA” Feltrinelli
Ferite d’oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un’antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore. Questa è la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia e l’ha vinta. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. Un marito, due figlie gemelle. È italiana, vive in Svizzera, lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina.
Il matrimonio finisce, senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l’uomo si uccide. Delle bambine non c’è più nessuna traccia. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un autentico thriller psicologico e insieme un superbo ritratto di donna, coraggiosa e fragile, Irina conquista brandelli sempre più luminosi di verità e ricuce la sua vita. Da quel fondo oscuro, doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l’amore che salda e che resta.
Concita De Gregorio prende i fatti, semplici e terribili, ed entra nella voce della protagonista. Indagando a fondo una storia vera crea un congegno narrativo rapido, incalzante e pieno di sorprese. Scandisce l’esistenza di questa madre privata dei figli – qual è la parola per dirlo? – in lettere, messaggi, elenchi. Irina scrive alla nonna, al fratello, al giudice, alla maestra delle gemelle, abbozza ritratti, scava nei gesti, torna alle sue radici, trova infine un approdo. Dimenticare significa portare fuori dalla mente, ricordare è tenere nel cuore. Il bisogno di essere ancora felice, ripetuto a voce alta, una sfida contro le frasi fatte, contro i giudizi e i pregiudizi. Uno di quei libri in cui uomini e donne trovano qualcosa di sé.
Per essere felici non ci vuole tanto. Per essere felici non ci vuole quasi niente. Niente, comunque, che non sia già dentro di noi.

Martedì, 28 Luglio, 2015 - 00:03