M5S e Blasi contro le ricerche petrolifere davanti alle coste pugliesi

“Alla luce delle sentenze del Consiglio di Stato che danno il via libera alle ricerche di idrocarburi in mare con il metodo Air Gun, è necessario che nel prossimo Consiglio regionale venga approvata la nostra mozione per la reintroduzione del Piano delle Aree nell’art. 38 dello Sblocca Italia”. Lo dichiarano gli otto consiglieri del M5S. Si tratta di uno strumento di pianificazione in grado di identificare quali aree del territorio e del mare debbano essere definitivamente sottratte alla disponibilità delle compagnie petrolifere, prevedendo che a decidere siano anche le Regioni insieme alle comunità interessate. Il Piano delle Aree è, infatti, volto a far sì che le attività di ricerca e di coltivazione di gas e petrolio siano consentite solo sulla base di una pianificazione che tenga conto dei diversi interessi economici ed ambientali esistenti e che tuteli le aree territoriali più fragili del Paese, sulla base di criteri scientifici e di dettagliate procedure, garantendo al contempo i necessari processi di coinvolgimento e partecipazione democratica.
“Il Piano delle Aree - continuano i pentastellati - è stato soppresso dalla Legge di Stabilità 2016 e noi chiediamo che venga reintrodotto per mettere un freno alla corsa alle fonti fossili restituendo al contempo centralità alle Regioni. Con la nostra mozione - proseguono - invitiamo innanzitutto il presidente del Consiglio, Mario Loizzo, a farsi promotore presso la “Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome” di una iniziativa di legge per la reintroduzione del Piano delle Aree da presentare al Parlamento, condivisa dai Consigli regionali. Auspichiamo - concludono i consiglieri cinquestelle - che si possa procedere con una rapida calendarizzazione e approvazione di questa mozione”.
La bocciatura dei ricorsi della Regioni Puglia e Abruzzo contro il Ministero dell’Ambiente e la società Spectrum Geo Lfd per il via libera alle attività di prospezione nel mar Adriatico con la tecnica dell’airgun, va contro tutti i principi di sviluppo sostenibile che abbiamo il dovere di perseguire per il futuro delle nostre comunità locali. E’ inammissibile svendere il nostro immenso patrimonio marittimo per pochi spiccioli. Ecco perché, quella contro le trivelle nei nostri mari, è una battaglia in cui non possiamo permetterci di retrocedere di un solo centimetro e su cui non possiamo essere disposti ad alcuna forma di trattativa o compromesso. Per la Puglia e i pugliesi questa è una battaglia di giustizia e di civiltà.
Occorre avviare al più presto strategie ampie e inclusive su cui possano convergere tutti i Paesi costieri del Mediterraneo, per evitare questa inutile caccia a un tesoro che non c’è e che in ogni caso farebbe felici soltanto le società petrolifere. Senza considerare che il petrolio è una materia prima destinata a lasciare il passo ad altre forme di approvvigionamento energetico già nel medio periodo. Per altro, i dati messi a disposizione di Assomineraria sui consumi nazionali e sulle riserve certe presenti sui nostri fondali, ci dicono che la quantità di petrolio estraibile dai nostri fondali sarebbe appena sufficiente a risolvere il fabbisogno per 8 settimane, appena due mesi. Il che ci consegna la fotografia di una pratica, oltre che figlia di un vecchio modo di concepire il mondo e lo sviluppo dei territori, del tutto insensata sul piano strategico.
Quanto alle tecniche di prospezione con la tecnica dell’airgun, che sono preliminari a quelle estrattive, mi associo alle parole del presidente di Legambiente Puglia, Francesco Tarantini, il quale fa appello ai neoeletti parlamentari affinché si possa convergere su una proposta di legge che vieti le attività di airgun per la pericolosità che queste hanno per la tenuta del già provato ecosistema marino. Ma non solo: occorre considerare il problema nel suo insieme. Per questo trovo altrettanto opportuna la richiesta di lavorare per la redazione di un Piano delle Aree per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, da sottoporre a valutazione ambientale strategica.
Anche perché l’Adriatico, come ricorda la stessa Legambiente, “è estremamente fragile per le caratteristiche proprie di mare chiuso”: scarsa profondità dei fondali e modesto ricambio delle acque riducono al minimo le possibilità di dispersione del greggio in caso di sversamento nelle acque. “Senza considerare - ricorda ancora Legambiente - l’impatto che queste attività possono avere sulla pesca, fino ad arrivare ad una diminuzione del  pescato anche del 50% intorno ad una sorgente sonora che utilizza airgun”.

Mercoledì, 14 Marzo, 2018 - 00:05