“L’unica certezza diviene l’esistenza delle incertezze”

Ha avuto un'ottima riuscita il convegno “Il benessere psicofisico dei militari e delle forze dell'ordine”, svoltosi il 21 Febbraio all'Hotel Hermitage di Galatina. Pubblichiamo una sintesi dell'intervento svolto dal dottor Antonio Antonaci, medico di base galatineese e responsabile del Dipartimento Sanità dell'AISPIS (Accademia Italiana delle Scienze di Polizia Investigativa e Scientifica).
"Lo dico da medico: forse l’argomento andrebbe trattato non tanto dal punto di vista sanitario e prettamente clinico, quanto dal punto di vista sociologico e filosofico, quindi politico; lo dico, pur mantenendo l’assoluta convinzione che il sostegno psicologico individuale, facilmente usufruibile, libero e riservato, nei momenti del bisogno interiore e del disagio (cosa che possiamo avere, nel corso della vita, tutti, nessuno escluso), trovato presso lo studio del medico di famiglia, sia fondamentale per il benessere psicofisico delle persone. Ma fenomeni mastodontici, come la sofferenza esistenziale nella semplice quotidianità e l’insofferenza verso la propria vita lavorativa, riguardanti intere macrocategorie, impongono un approccio più ampio, complesso ed articolato.
La soluzione a problematiche sociali come questa, non la si potrà mai trovare, affidandosi solo al counselling psicologico individuale, “one to one”, se pur, diffuso, capillare e puntuale, come potrebbe realizzarsi, appunto, presso lo studio del medico di medicina generale o in centri d’ascolto appositamente predisposti. L’idea, cioè, rimane buona ed è da perseguire, ma non è sufficiente. Il dramma che, coloro che indossano una divisa, stanno vivendo e, con loro, le loro famiglie, è inaccettabile in condizioni di civiltà e, purtroppo, tale dramma non è dissimile da quello che altre, ampie, porzioni di società, parimenti vivono, oggigiorno, nel nostro Paese. Si tratta degli operatori della sanità, della scuola e di tutti coloro, cioè, che hanno nella loro attività lavorativa, per istituto, una mission sociale, un compito affidato loro e riconosciuto dallo Stato.
Tutela della salute e sua protezione, educazione ed istruzione, sicurezza e difesa, sono, infatti, alla base di una società civile, solida ed organizzata; secondo regole e convenzioni che sembrano, oggi, non valere più. Siamo alla “società liquida postmoderna” teorizzata da un grande sociologo contemporaneo, il polacco G. Bauman (scomparso nel 2017). Dove per “liquida” si intende senza confini netti e limiti, paletti; senza una forma; continuamente e freneticamente in movimento, fluttuante nelle direzioni più varie, priva di orientamento. Insomma, dove “tutto e il contrario di tutto” diventa possibile. In siffatta società, la velocità dello scorrere del tempo aumenta a dismisura e a scapito dello spazio, che si riduce, anzi si annulla tramite la cibernetica ed il web. L’individuo, in corsa ed in affanno perenne, perde la bussola, non ha più modelli in cui riconoscersi, una collettività a cui sentirsi appartenente. Appartenenza che implica rispetto di regole, di precetti, di norme e leggi, anche morali e comportamentali, che si subiscono, forse, ma che sono garanzia di sicurezza individuale e certezza identitaria. Oggi, l’individuo sembra assolutamente libero, privo di guide e direttive, si comporta “liquidamente”; va, ovunque e comunque, e da se; diviene società lui stesso; morale tra le morali, ognuno con la sua. Ma non è libertà vera. L’individuo è solo, abbandonato a se stesso, si sente inutile, vuoto, invisibile; gli sembra quasi di non esistere, perché non ha più una collocazione identitaria sociale. Si rifugia, allora, alla ricerca di certezze e di risposte, nei meandri e nelle profondità, spesso oscure, dei social e dei “viaggi della speranza” in internet. Immagina, spera, si illude davvero, di poter trovare, nella dematerializzazione informatica, la sostanza autentica della vita. Nelle apparenze digitali, nelle immagini fatue ed inconsistenti del suo smartphone, trova, invece, il “nulla”: quel “tutto” cancellabile con un tasto. Scrive Bauman: “In questo nuovo mondo, si chiede agli uomini di cercare soluzioni private a problemi di origine sociale, anziché soluzioni di origine sociale a problemi privati.” Ecco allora, che gli individui, appartenenti alle macrocategorie che hanno dei compiti di estrema e delicata rilevanza sociale (sanità, scuola, difesa, ordine pubblico), perdono il necessario punto di riferimento, quello di cui hanno sempre avuto bisogno e che può essere garantito da una società solida e dalle sue Istituzioni. Si sentono soli, abbandonati; traditi, quasi; offesi, talvolta, dalla società e dalle Istituzioni, di cui pure fanno parte e a cui dedicano tutta la loro vita professionale e i loro sforzi. E’ devastante. E lo è ancor di più, proprio perché essi stessi sono parte inconsapevole “del gioco”; per cui sono :vittime e carnefici”, a un tempo. Nessuno può sottrarsi. Nemmeno il politico, cui si imputa, genericamente, la responsabilità del caos sociale, può, a sua volta, sottrarsi agli effetti di tale caos; venute meno le appartenenze ideologiche, è anch’egli in crisi identitaria; in balia delle onde di una “società liquida”. Nel caso degli operatori delle forze armate e forze dell’ordine, effettivamente, la differenza, rispetto alle altre macrocategorie aventi una mission sociale, sta nel fatto che il disagio, lo sconforto, il malessere interiore e profondo che sono, come detto, a loro comuni, emergono, nelle manifestazioni estreme, con un’acuità ed una forza veramente brutale; con i suicidi. D’altronde, l’impatto emozionale che provoca la notizia di tanti suicidi (69 nel 2019 e 9, sino ad oggi, nel 2020), copre tutto il resto; il cosiddetto sommerso. Un “iceberg”, di cui il suicidio è la punta, ma che costituisce il problema sociale vero. Sta di fatto che, chi veste una divisa, è più a rischio perché detiene un’arma e ha confidenza con essa; quasi fosse un compagno di viaggio, fino alla fine. Alla stessa maniera, incide il dover operare, quotidianamente, in ambiti duri, aspri ed inclementi; estremamente traumatizzanti, sempre a contatto con il male ed il peggio che riesce ad esprimere l’uomo. Un esempio? Si pensi a coloro che indagano sulla pedopornografia e sulla pedofilia; di cosa sono “costretti” a trattare e cosa devono guardare, nei video e nei documenti delle indagini; indicibile, impensabile, orribile. E poi, devono anche mantenere un atteggiamento distaccato e professionale, quando giungono “al cospetto” di certi criminali che, magari, si presentano spavaldi e fiduciosi di farla franca, in questa nostra “società liquida”. Al ritorno a casa, tra gli affetti familiari o, all’opposto, nei problemi personali, sarà molto difficile “lasciar fuori dalla porta” quel che si è sopportato “vestendo quella divisa”. E si pensi, ancora, a tutte le frustrazioni e le delusioni che si accumulano nel veder vana, troppo frequentemente, ormai, la propria azione di tutori della legge e di difensori della patria; fatta spesso a rischio della propria incolumità, della propria salute e della propria dignità.
La forza per andare avanti, la si può trovare solo riaffermando principi culturali validati, valori condivisi e certezze proprie di un’appartenenza riconosciuta; tutte cose su cui si fonda l’identità stessa dell’individuo all’interno della società: la sua l’identità sociale.
In un epoca in cui, viene meno ogni certezza e, come dice Freud, “l’unica certezza diviene l’esistenza delle incertezze” l’identità sociale entra in crisi ed il malessere si diffonde. Accanto al supporto psicologico ad personam, si dovrebbe, perciò, pensare ad un approccio di sistema, operato su larga scala, coinvolgente intere categorie, classi e fasce sociali; attraverso la realizzazione di incontri, conferenze, dibattiti, seminari e, perché no, programmi di counselling psicologico e consulenza filosofica (una nuova metodica, che aiuta a comprendere il mondo che cambia) dedicati a macrogruppi omogenei di persone appartenenti ai settori lavorativi con importanti responsabilità sociali".

Sabato, 22 Febbraio, 2020 - 00:08

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