Le cose da non dimenticare

Difficile non ricordare quei sorrisi forzati, quei sorrisi smorzati, quegli sguardi che sembravano voler guardare altrove, quell’aria un po’  triste e un po’ preoccupata che girava in casa. La “firma” che l’INPS erogava era finita e di lavoro neanche un po’. Qualche giornata di lavoro che magari si riusciva a trovare, ci pensava il tempo impietoso di quell’inverno a non farla fare.
La preoccupazione di mia madre cresceva di giorno in giorno  e lei non era neanche così brava a nasconderla, qualche provvista che avevamo stava per esaurirsi e qualche soldo messo, tra mille stenti,  da parte  pure.
Era un problema, un problema importante che si era piazzato all’improvviso nella nostra casa, nella nostra famiglia e non ci faceva stare tranquilli, vivere tranquilli.  Che toglieva ogni gioia e felicità al solo pensare che la situazione dovesse ancora andare avanti a lungo.
Speranza, soprattutto di mia madre, tanta ma eravamo arrivati quasi al punto di non crederci più.
Per la prima volta si parlava di “altri paesi” e noi  tutti, quasi  rassegnati.
Si cominciava a parlare di treni, di partenza, si cominciava a prendere contatti con parenti e amici che già erano andati via dal nostro paese da un pezzo.
Eravamo tutti un po’ dispiaciuti, un po’ tristi e amareggiati, ma mia madre ci raccontava di posti nuovi, posti belli per vivere, da scoprire, di nuove amicizie, di una vita più agiata, più comoda e finalmente più tranquilla.
E poi, forse non c’era il mare ma c’era un lago così grande da somigliargli molto.
Facevamo fatica ad abbracciare la nuova situazione che ci  stava piombando addosso, ma facevamo finta d’essere felici e anzi ognuno cominciava già a sistemare le proprie cose, “le cose da non dimenticare”.
L’inverno ormai era quasi passato e la primavera aveva cominciato ad asciugare tutto il bagnato di quelle infinite piogge che quel piovoso inverno aveva lasciato.
Era una sera come tante e la rassegnazione ormai aveva preso in noi il sopravvento. Eravamo tranquilli, ma dispiaciuti e tristi dentro.
Si fermò davanti al cortile di casa una macchina di quelle che in giro non se ne vedevano tante e la persona garbata e gentile che scese chiese di mio padre.
Era in casa, lo chiamai e in un attimo ci raggiunse.
Si conoscevano, penso da un bel po’, lo capii da come si parlavano da qualche ricordo riaffiorato.
Parlarono un bel po’ di lavoro, di progetti e di altro ancora. Poi si salutarono e quel signore salutò anche me che ero poggiato al muro davanti a casa.
Quando mio padre si girò verso di me vidi nei suoi occhi una luce e una commozione che li faceva luccicare.
La primavera aveva portato con se anche il “lavoro” un lavoro che sarebbe durato abbastanza. Quella sera si festeggiò tra frittate piene di menta e carciofi sottolio fatti da mia madre.
Per ultimo quella marmellata di mele fatta sempre da mia madre e che in quell’occasione mi sembrò più buona del solito.
Poi le cose che avevamo messo tutte insieme per “ non dimenticarle”  tornarono al loro posto. Quella sera non fu facile prendere sonno. Alle cinque e mezza quando mio padre si alzò, uno dopo l’altro eravamo tutti in piedi e quando mio padre uscii di casa eravamo tutti sull’uscio a salutarlo. Eravamo felici e dopo qualche giorno ci liberammo anche di quel pizzico di tristezza che quel bruttissimo inverno ci aveva lasciato addosso.
Eravamo davvero felici ed era appena passato l’inverno del “63.

Domenica, 17 Luglio, 2016 - 00:06