L'Assessore

Era più o meno un vicino di casa, ma per questione di rispetto, non lo chiamai per nome, gli feci:  – Geometra – ma niente. Aveva sotto il braccio, una decina di quotidiani e qualche settimanale, un cappotto di marca, ed era circondato da una gruppetto di affezionati che gli parlavano, gli proponevano, insomma: ragionavano. Allora lo chiamai – assessore - . Beh, non ci crederete, si voltò immediatamente, in fondo lo era veramente, e, per la verità, fu molto gentile e disponibile. Guardò l’agenda e mi fissò un appuntamento per qualche giorno dopo.
Volevo solo esporre un problema, uno solo. Arrivò una mezzoretta dopo l’ora fissata e sempre accompagnato dai suoi più stretti collaboratori.
Si accomodò dietro una scrivania su cui sicuramente erano stati firmati importantissimi provvedimenti , e su cui erano sicuramente poggiati altrettanti  da firmare, appena avesse avuto un attimo di respiro.
Sguardo serio e impegnato, ben vestito e ben rasato.
Mia nonna e tutte le sue coetanee del vicinato, non avrebbero mai rinunciato, nemmeno a legarle, di andare in Chiesa alla funzione della sera. Il problema che volevo sottoporre all’intelligenza dell’assessore era proprio quello che,  per arrivare in Chiesa,  c’era un bel tratto di strada pieno di buche e senza luce. Marciapiedi ancora, nel Rione Italia, non si vedevano.
Insomma per quelle persone anziane era un problema e tante volte per sicurezza andava uno tra noi nipoti ad accompagnare la nonna, di un quintale appena di peso con i vestiti.
Gli spiegai il problema, ma non fu facile, ogni cinque minuti squillava un telefono, bussavano ed entravano funzionari in continuazione ed entravano ed uscivano colleghi assessori.
L’assessore rispondeva a tutti magari confondendo domande e risposte, magari senza neanche capire. Parlavano di delibere, riunioni, convegni e soprattutto cene.
Non ero sicuro che in tutto quel casino aveva capito qualcosa del problema ma lo speravo soprattutto per due motivi, per due cose che mi portavano a pensare che il caso lo avrebbe risolto.
La prima era perché già lo conoscevo e lo avevo anche incontrato spesso, per aver frequentato controvoglia la sezione del suo partito solo per vedere se mi facevano entrare in FIAT, che in quegli anni aveva aperto  nel capoluogo.
L’altra cosa era quella che eravamo alla vigilia delle elezioni regionali e lui portava un candidato che poi era anche il capo della sua corrente. Presi un santino del suo candidato che per caso era sul tavolo come per fargli capire che l’avrei votato.
Lessi nel suo sguardo tutta la contentezza e la soddisfazione  per aver arricchito il suo peso elettorale. Tratterò – mi fece quando iniziò a rispondermi – le problematiche testé  esposte, le inserirò in un contesto chetenesse” insieme il territorio, l’ambiente e il turismo.
Diamine – pensai – il turismo in quella strada periferica del Rione Italia. Ho chiesto solo un po’ di catrame nelle buche e qualche lampadina nuova. Ma ovviamente lui, essendo assessore, ne sapeva di più, vedeva le cose in grande.
Mi congedai con le solite frasi ad effetto, chiamandolo, tutte le volte che potevo farci entrare la parola: ASSESSORE. Avevo capito che ci teneva.
Non votai quel candidato troppo lontano dalle mie convinzioni e se pur senza alcun collegamento tra loro, quei lavori non si fecero mai.
Quel mio amico però nelle successive votazioni raddoppiò i voti e prese un altro e più importante assessorato. Nel frattempo aveva anche cambiato partito.
Ironicamente gli scrissi un biglietto “ ringraziandolo” per la risoluzione del problema. Lui senza neanche pensare mi rispose - “Dovere” - come se lo avesse fatto davvero.
Eravamo agli inizi degli anni  ’70, a pensare ora ci si accorge che troppe cose non sono cambiate e se, per un attim,o ripenso all’ASSESSORE, non è cambiato neanche quel qualcosa dentro di me che oserei dire – avvicinatevi un po’  –:  INVIDIA.

Lunedì, 21 Novembre, 2016 - 00:06